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Il castello: Quando il non luogo diventa casa

Quando il non luogo diventa casa

Siamo abituati a definire non luogo tutti quei posti di grande passaggio: stazioni, centri commerciali, aeroporti. Una definizione di Marc Augé che negli anni si è conquistata un uso sempre più comune. In questo modo, però, ci si è dimenticato che in quei non luoghi, oltre al passaggio, ci sono i residenti, al cui interno lavorano, vivono ed esistono, sottostando a regole, istituzioni, organizzazioni, comportamenti.

Massimo D’Anolfi e Martina Parenti hanno deciso di mostrarci il dedalo kafkiano di lavori, occupazioni, personaggi e burocrazia che (non) si nasconde all’interno di un grande aeroporto, filmando per un anno la vita che si consuma dentro Malpensa. Un racconto suddiviso in quattro capitoli, uno per stagione, dove passeggeri e poliziotti, addetti e veterinari affrontano regole scritte e non scritte di controllo, sicurezza e burocratiche. Il documentario segue la regola wisemaniania: la ripresa è palese, tutti sanno di essere filmati, ma l’oggettività e la giusta distanza tenuta permettono il normale trascorrere della vita di un luogo che pulsa. Una lunga e ipnotica ripresa iniziale sul mezzo di controllo della pista mette le cose in chiaro con lo spettatore e delimita il perimetro del castello. Al suo interno si consumano le vite di poliziotti sospettosi e passeggeri sospettati, tra cui emerge Diego, un paraguayano corriere della droga, esempio massimo delle contraddizioni di un mondo ingiusto. Ci sono poi i controlli merci con veterinari accurati e aragoste spaventate, gli scaccia uccelli che mettono in sicurezza gli aerei e poveri volatili che vogliono solo vivere nel verde, reclute e addestratori che si preparano al peggio, mentre valigie abbandonate aspettano di incutere il panico. C’è chi passa e chi resta e addirittura chi ha fatto di Malpensa la sua casa, trasformando in casa ciò che per altri è solo un luogo di passaggio.

Malpensa diventa così uno specchio in cui riflettersi e porsi domande: chi sono i controllori e chi i controllati? Dove si ferma la nostra libertà individuale? Una vera e propria radiografia di un’organizzazione dove i sistemi di potere sono un’emanazione della nostra imperfetta umanità. D’Anolfi e Parenti confermano un talento unico nel saper riportare sentita e partecipata e sentita (s)oggettività i mondi da loro esplorati. Mantenendo una giusta distanza, ma intervenendo con un linguaggio personale e cinematografico, i personaggi reali si trasformano in archetipi narrativi che alzano domande ed emozioni, lasciando allo spettatore il compito di schiacciare, se lo vuole, possibili risposte.

Curiosità
D’Anolfi e Parenti, compagni anche nella vita, hanno presentato i loro documentari nei principali festival di tutto il mondo e hanno l’abitudine di chiamare i propri film richiamando romanzi famosi, riuscendo sempre nell’intento di donare un tocco ironico e personale a ogni loro lavoro.

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