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Marilyn: Chanel n° 5 annacquato

Marilyn locandina

My Week with Marilyn (in Italia semplicemente Marilyn) è, in tutto e per tutto, una copia sgualcita. In primo luogo in quanto adattamento cinematografico di un romanzo in forma di diario che Colin Clark, terzo aiuto regista, scrisse per ricordare i giorni trascorsi a stretto contatto con la star hollywoodiana per antonomasia. In secondo luogo, perché vuole riportare in vita, senza sforzi interpretativi e senz’anima, due grandi nomi del cinema: quello della Monroe, com’è ovvio, e quello di Laurence Olivier (oltre che della bella moglie Vivian Leigh). Intenti alti, ma il film manca di un centro gravitazionale: nulla è ben focalizzato e la pellicola ricorda film tv patinati e di poco spessore, dove la troppa fedeltà ai fatti è controproducente alla storia nel complesso, privandola di fascino e interesse.

L’armonia del film è spezzata a metà: da una parte c’è la voglia “dall’interno” di catturare lo scontro professionale tra metodi di recitazione, quello classico di stampo teatrale e quello nato delle teorie di Stanislavskij; dall’altra il tentativo di raccontare il cinema (e lo scontro di due modi di farlo) attraverso uno sguardo esterno. I risultati si perdono tuttavia in ritratti poco azzeccati, dialoghi deboli e situazioni avvilenti e sconfortanti. Marilyn è l’ammaliante e capricciosa stella del cinema d’oltreoceano che si scontra con il sistema cinematografico inglese, rappresentato dal grande attore teatrale, prima che di cinema, Laurence Olivier. Dove sia la grinta, la vivacità e la rottura delle regole tradizionali di recitazione che Marilyn dovrebbe almeno simbolicamente rappresentare, è una questione aperta.

Le riprese di Il principe e la ballerina (The Prince and the Showgirl, 1957), di cui Olivier cura la regia, rappresentano una parte consistente dello sviluppo della storia. L’altra metà è costituita dal rapporto sbilenco e platonico tra Marilyn e Clark. Ma cosa veramente il regista voglia esprimere attraverso questa narrazione lenta, goffa e priva di carattere? Dov’è lo scontro di professionalità? Pare che il problema risieda nell’incapacità di romanzare un’avventura fuori dal comune: tutto è piatto, scontato, per niente engaging e entertaining. Gli attori non si esprimono al meglio: ilgrande Kenneth Branagh si perde in una caricatura mal approfondita; Marilyn è disarmonica, triste e scialba e di lei emergono solo le debolezze, pur oggettivamente esistite. Clark è un giovane di buona famiglia che magicamente perde il senno e vive esperienze fuori dal comune, come un pivellino che, improvvisamente, si sente investito di un potere che lo rende offensivo nei confronti della troupe.

La forza sprigionata dallo star system di Hollywood non si avverte, mentre le abitudini inglesi appaiono stantie e chiuse al cambiamento. Ma era questa Marilyn? O meglio, è questa la Marilyn che tutti noi ricordiamo? E si limitava a questo mix di rigidità professionale e recitazione istrionica e artefatta il grande interprete di Shakespeare Laurence Olivier? Marilyn pare un mero prodotto derivato, un’operazione ricordo, opaca e pedissequa traduzione se non negli eventi, almeno nello spirito, di quello che può essere un diario scritto da un qualunque scrittore amatoriale. Sarebbe, dunque, interessante recuperare il racconto di partenza per potere valutare meglio pregi e difetti di una pellicola che pure ha fatto tanto parlare di sé e della sua protagonista femminile… quasi che il film fosse più un “evento” per l’azzardo di replicare Marilyn che altro.

Curiosità: per la sua interpretazione di Marilyn (per la quale erano in ballottaggio anche Scarlett Johansson, che ha declinato, e Elaine Hendrix) Michelle Williams ha vinto il Golden Globe 2012 come migliore attrice di commedia/musical ed è stata nominata agli Oscar e ai BAFTA Awards.

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