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Cosmopolis: la mutazione è definitiva

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Prima era il caos, poi fu la vita, ora è la parcellizzazione, tanto da non essere più in grado di percepire il qui e ora. In Cosmopolis David Cronenberg trova il modo di raccontarci il nuovo millennio nell’unico modo possibile: attraverso un ininterrotto flusso di informazioni, qui rappresentato dalle interazioni di un vincente della finanza. Genio e miliardario, il suo protagonista usa le informazioni come materia prima per costruire un impero basato sulla previsione del futuro. Speculazione, finanza, sistemi interconnessi, consulenti del pensiero, scambio di fluidi corporei come fossero passaggi di dati. Ed è da questa intuizione di Don DeLillo (che ha scritto il romanzo nel 2003, ben prima della Crisi o del boom di Facebook) che Cronenberg parte per dipingere il suo adattamento.

Se il libro era una sorta di nuovo Ulisse sulla contemporaneità, praticamente impossibile da filmare, il film di Cronenberg si focalizza sui dialoghi, mettendo in scena un compendio filosofico, freddo, algido, verboso, teatrale. Un viaggio metaforico in una New York alle prese con una protesta, una visita presidenziale, un funerale, in cui Eric Packer, giovane magnate della finanza, incontra, osserva, scopa, è. Sembra il solito apatico ricco in cerca di emozioni (di cinematografica tradizione), ma in verità il suo essere è foderato di sughero e totalmente blindato. Come la sua limousine, non ha bisogno di rapporti umani, ma di rapporti: si è escluso dall’esterno per vivere a un’altra velocità, quella dei bit, quella del denaro, quella di una realtà alternativa autocostruita innaturale. Cronenberg trasforma così ogni fotogramma in un’unità informativa: nessuno dei personaggi si trova al computer (parola per altro già superata), ma è un dispositivo comunicativo. Ogni conversazione potrebbe essere fatta in chat, ogni scopata potrebbe essere virtuale, ogni uscita dalla limousine un cambio di piattaforma, facendo di Cosmopolis il primo film a mettere in scena la comunicazione 2.0. La mutazione ormai è definitiva, tanto da non avere più bisogno della visionarietà dei primi film di Cronenberg. Basta il teatro, il dialogo, il primo piano, perché l’uomo si è trasformato in un mero flusso informativo. Packer, forse in compagnia del pasticcere terrorista, sembra essere l’unico ad averne consapevolezza (non a caso l’ultima droga in città si chiama know, conoscenza), mentre fuori il mondo insorge.

Resta il germe dell’imperfezione, di una deviazione della prostata (chissà cosa ne direbbero i gemelli ginecologi di Inseparabili) e quindi di una speranza che sta già viaggiando nei bit delle nostre informazioni. Freddo e immenso, il film si apre su Pollock e si chiude su Rothko, perché prima era il caos, poi fu la vita, ora è la parcellizzazione.

Curiosità: è stato il figlio del produttore  Paulo Branco a proporre al padre di adattare il romanzo Cosmopolis con la regia di Cronenberg. Lui inizialmente aveva rifiutato, ma dopo aver letto il libro ha accettato subito. Inizialmente aveva scelto Colin Farrell e Marion Cotillard, ma gli impegni del primo e la gravidanza della seconda, lo hanno portato al cast attuale. E lui si è detto anche più soddisfatto.

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