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Take Me Home Tonight: Non è la solita serata revival

Non è la solita serata revival

Fin dai titoli di testa, Take Me Home Tonight catapulta lo spettatore nel vortice di icone e atmosfere dei mitici anni Ottanta: la lacca, la videocassetta di Ritorno al futuro, le immagini stile cartoon di Take on Me degi A-Ha, i volti di Reagan, Bush Senior e Gorbačëv, la serie TV Alf, il cubo di Rubik e le foto scattate con la Polaroid. Non lasciamoci ingannare: non si tratta del preludio di un inno al florido decennio. Il film sarà, piuttosto, un tripudio di cliché di una fetta di società dell’epoca, di cui non sono taciuti gli aspetti meno edificanti. Si va così da una colonna sonora revival – che, attraverso pezzi ever-green, domina la scena con naturalezza grazie al party della “rimpatriata” – al cinema – a cui si fa riferimento con i poster e con i tanti titoli dei film in Vhs nella videoteca in cui lavora Matt – fino alla moda – il glamour, le chiome importanti, i colori forti – per arrivare alle eccentricità degli arricchiti post boom economico che si scontrano con le attese dei giovani insicuri in cerca di lavoro – si parla delle droghe, la cocaina in primis; dell’apertura sessuale, ridicolizzata e spinta fino al voyerismo grottesco; delle goliardiche zingarate, delle sfide di break dance e della vita da discoteca. Un quadro che non è dettato da una nostalgica operazione di recupero, decontestualizzata e fine a sé stessa, ma che è, invece, la necessaria rappresentazione di un milieu tronfio e privo di valori con cui si deve confrontare una schiera di neo-laureati confusi e in cerca di una propria identità emotiva e professionale. Una storia, quindi, di formazione, intrisa di quel tanto di romanticismo che basta per non sconfinare nel terreno della romantic-comedy; una storia che ha il pregio di descrivere le difficoltà sperimentate da chi al sistema partorito dagli anni Ottanta non si vuole piegare. Senza polemiche, naturalmente, ma con un forte rimando all’attuale condizione sociale delle nuove generazioni.

Il riferimento ad American Graffiti (1973) è sostanziale e fa capolino anche figurativamente quando viene inquadrata la locandina del film. Là erano protagonisti gli anni Sessanta e i ragazzi strombazzavano in auto nella serata che avrebbe funto da spartiacque per il loro futuro: chi sarebbe andato al college, chi in guerra, chi entrato nel mondo del lavoro. Qui il lasso di tempo è sempre quello di una serata in cui tutti i compagni della High School si incontrano dopo la laurea e possono fare il bilancio della propria vita, confrontando le proprie aspirazioni e i propri traguardi con quelli degli amici persi di vista tempo addietro. Take Me Home Tonight fa un passo avanti, spostando l’asse temporale al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro, che per alcuni è scontato in quanto naturale derivazione del proprio percorso di studi, mentre per altri, come Matt, Tori e Wendy è un momento di riflessione su sé stessi, che obbliga, prima di tutti, a capire chi si è/si vuole essere veramente. Saranno loro a veicolare il messaggio cardine del film, ossia che la realizzazione professionale deve andare di pari passo con un rinsaldarsi dei valori etici e con lo sviluppo della capacità di leggere criticamente il mondo che li circonda. Gli stereotipi abbondano, ma non appesantiscono il racconto: lo sportivo gnucco che immagina per sé la classica famiglia americana con la moglie angelo del focolare; gli industriali che sguazzano nell’opulenza, ma che, tolta questa, affogano nella propria mediocrità; la Milf maggiorata impegnata in improbabili triangoli erotici; le neolaureate che giocano alle segretarie sexy per accondiscendere al capo debosciato. E così via dicendo, fino alla totale indistinguibilità tra l’essere e l’apparire.

Topher Grace, l’Eddie Brock/Venom di Spiderman 3 (2007) ha l’aria da bravo ragazzo all’incrocio simbolico tra un Justin Timberlake e un Ron Howard versione Ricky Cunningham; Anna Faris sfoggia qualcuna delle sue buffe espressioni alla Scary Movie, ma tutto sommato risulta molto seria rispetto al solito; Teresa Palmer è la classica bellezza americana alla BayWatch, ma con misure ridotte; Dan Fogler, che interpreta l’amico di Matt, è un equivalente di Zach Galifianakis, ma senza la strabordante carica demenziale. Potrebbe passare come un filmetto di poca sostanza questo lungometraggio di Michael Dowse, ma è molto di più, in effetti: “non è la solita commedia americana” (e per fortuna, è il caso di dire!), bensì una lettura, certo parziale, ma ragionata, di un decennio che, relegato ormai nel passato, viene scalfito ogni giorno che passa, visti gli effetti a lungo termine che è stato in grado, ahimè, di generare.

Curiosità
il titolo del film fa riferimento all’omonima canzone di Eddie Money/Ronnie Spector, usata anche per il trailer ufficiale. Take Me Home Tonight ha trovato la via della distribuzione dopo quattro anni di limbo, dovuti parrebbe, dallo sbarramento opposto dagli studios a causa dell’indulgenza con cui il film rappresenta l’uso pesante di cocaina. La pellicola è stata rivalutata solo grazie all’intervento di Ron Howard e di Brian Grazer di Imagine Entertainment.

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