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cultura dell'immagine e della parola

Sotto quel cielo
Berlino 2012, giorno 1

Diane Kruger durante la conferenza stampa di Les Adieux a la ReineLa Berlinale si è aperta ufficialmente con la proiezione della pellicola francese, Les Adieux à la Reine (Farewell my Queen) del regista Benoît Jacquot. Il film, tratto dal romanzo storico omonimo uscito nel 2002 ad opera di Chantal Thomas, ripercorre gli ultimi tre giorni in vita di Maria Antonietta (Diane Kruger) alla Reggia di Versailles, del giorno presa di Bastiglia, e della conseguente simbolica fine dell’Ancien Régim, visti e vissuti nei ricordi della lettrice di corte prediletta dalla sovrana, Sidonie Laborde (qui interpretata dalla splendida Léa Seydoux). Un rapporto, quello con Maria Antonietta, intimo e incondizionato, tanto da essere difeso anche nei momenti più “scandalosi”, dall’amicizia con la duchessa di Polignac ai capricci più irrispettosi nei confronti del popolo. La Kruger, seppur bellissima e in perfetto francese, è assai lontana dalla Kirsten Dunst dipinta dalla Coppola, che era riuscita quasi perfettamente a ricalcare lo stile e il carattere della sovrana francese. Ma Jacquot non si cura tanto di quest’aspetto, quanto invece nel sottolineare la fragilità del personaggio, profondamente solo, tanto da dover essere appunto attorniato da un certo numero di persone fidate, tra cui appunto la Laborde. Al di là della poca ricostruzione storica, il film pecca forse nel troppo “chiacchiericcio di corte”, senza mai veramente farci respirare lo spirito di quel momento particolare della storia francese. Un vero peccato perché sarebbe stato uno spunto interessante per rianalizzare un periodo attraverso uno sguardo diverso.

Ma è il giorno anche della presentazione di In the Land of Blood and Honey (Nella terra del sangue e del miele) opera prima da regista e sceneggiatrice per Angelina Jolie, nominata quest’anno ai Golden Globe nella categoria di miglior film straniero. Lo sfondo è quello tragico della Guerra dei Balcani, tra il 1991 e il 1995, che vide serbi e bosniaci combattere tra enormi atrocità. Il film si concentra su due personaggi principali, divisi dall’etnia, ma uniti dall’amore: un soldato serbo, Danijel (Goran Kostic) e Ajla (Zana Marjanović) una ragazza bosniaca. La guerra li divide, ma contemporaneamente li riunisce in un campo di lavoro dove la ragazza viene internata e dove il soldato, diventato ormai capitano, dirige le operazioni. La Jolie parte da questa storia per raccontare (e nella prima parte il film è davvero convincente) da un punto di vista prettamente femminile, la parte più orrenda della guerra, in particolare nei confronti delle donne e dei più deboli in generale. Se gli uomini vengono uccisi in fucilazioni di massa, le donne vengono rapite, pestate, costrette a subire violenze fisiche e psicologiche, alle umiliazioni peggiori. La Jolie non risparmia nulla, anzi, affonda in maniera molto cruda per dare realismo a quello che sta raccontando, anche se poi, nella seconda parte della pellicola, “inciampa” narrativamente nel concentrarsi eccessivamente sulla storia tra i due protagonisti, tralasciando un po’ quella ricostruzione storica e quell’indagine che fino a quel momento erano stati di buon livello. La pellicola non è da sottovalutare (dura più di 2 ore) a livello d’immagine, emergono ritratti interessanti (e sconcertanti, finora non visti esplicitamente), ma quello che più forse non convince è proprio il lavoro di partenza fatto in chiave di sceneggiatura, ancora poco “matura” e debole. Ma a questa Jolie regista va sicuramente data un’altra possibilità.

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