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The last day of Emma Blank: danza macabra in interno borghese

Danza macabra in interno borghese

Vi è più di un elemento che lega in qualche modo il film di Alex van Warmerdam a due grandi periodi del teatro occidentale: quello borghese della seconda metà del XIX secolo e quello dell’assurdo del ‘900. Al primo si ispira innanzitutto per l’ambientazione, prevalentemente domestica, poiché la casa è simbolo dell’ordine borghese, microcosmo regolato da dogmi rigidi, da un codice interno che obbedisce alle regole del materialismo e della convenzione. In secondo luogo, vi sono i personaggi, creature grette, caratterizzate da un’infinita povertà interiore, le cui relazioni umane sono fondate sulla recita, su una parte prestabilita da interpretare. In terzo luogo, infine, vi è il rapporto tra questo microcosmo, e i suoi personaggi, con il mondo circostante, di cui la piccola monade borghese è meschina metafora, surreale rappresentazione.

The Last Days of Emma Blank è una commedia nera, con una impostazione decisamente teatrale (non a caso, è tratta da una pièce scritta e interpretata dallo stesso regista). In questa casa squadrata, rigida, impostata come un palcoscenico e isolata dal resto del mondo, si mette in scena la macabra attesa della morte di Emma, donna ricca e capricciosa che, in virtù del “privilegio” conferitole dall’essere in fin di vita, domina con cipiglio autoritario la casa e i suoi “domestici”. Questi la servono pur odiandola, senza alcuna voglia, e non attendono altro che la sua morte. Tra questi “attori” costretti a recitare un ruolo loro imposto da Emma (il cameriere, la cuoca, la domestica), e che loro stessi hanno accettato di ricoprire, spicca la figura di Theo, interpretato da van Warmerdam, uomo misterioso e ambiguo a cui è spettato il ruolo del cane domestico. La sua maschera, silenziosa e lasciva, è il simbolo più evidente dell’assurda messa in scena voluta dalla padrona di casa e dai suoi servitori, messa in scena che, come nella miglior tradizione del teatro dell’assurdo, altro non è che un’impietosa satira sociale, di quella società in cui tutti sono servi di qualcuno, vittime di qualcuno. Questo rapporto signore-servo, carnefice-vittima non è mai monodirezionale, bensì espressioni di un medesimo volto, maschere che ognuno di noi indossa nella vita, spesso contemporaneamente, per raggiungere un fine meramente materialistico: i soldi, la casa, l’uomo o la donna che desideriamo possedere.

Nel film di Van Warmerdam il sorriso difficilmente si trasforma in risata, e quando ciò accade lo spettatore non avverte mai un senso di liberazione: The Last Days of Emma Blank è un’opera che volutamente nega alla commedia la possibilità di essere catartica, in quanto il suo fine è poter mettere in scena le meschinità di un piccolo gruppo familiare, meschinità che in realtà rispecchiano quelle di un intero gruppo sociale, in uno stile che non sarebbe dispiaciuto allo scrittore francese Guy de Maupassant; ma non solo. La catarsi è negata nel finale perché il processo di immedesimazione viene svelato solo nell’ultima parte, lasciando lo spettatore consapevole che, dietro la maschera da cane di Theo, si sarebbe potuto celare il suo proprio volto.

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