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Nascosti tra le nevi

Nascosti tra le nevi

A Thousand of Details. Un migliaio di dettagli.
Questo è il titolo di uno dei brani della soundtrack di Trent Reznor e Atticus Ross, ma è anche la cifra narrativa che caratterizza il nuovo film di David Fincher. Valorizzazione delle sfumature e del non detto all’interno della messa in scena, che contribuisce a fare di Millennium qualcosa di più complesso di un semplice film di genere ben confezionato. Fincher e lo sceneggiatore Steven Zaillan hanno il grande merito di restare sostanzialmente fedeli alla trama del libro di Stieg Larsson (al contrario di quanto accadeva nella trasposizione svedese), ma soprattutto allo spirito di quell’opera, ponendo quindi in secondo piano l’intreccio giallo rispetto alla componente umana dei due protagonisti.

Con Millennium, infatti, Fincher conferma uno dei tratti peculiari (e più sottovalutati) della sua poetica, ovvero il suo interessarsi maggiormente a coloro che cercano di fare luce su un mistero piuttosto che sul mistero stesso e sulla sua risoluzione. Fincher combina un materiale di partenza fondamentalmente classico e riconducibile alla sfera codificabile del noir, con un approccio più umanista e intimista. Scruta nelle pieghe dell’animo di Mikael e Lisbeth, mettendone in luce la fragilità, l’alterità rispetto ad un mondo di cui non si sentono parte, l’incapacità di relazionarsi sentimentalmente in maniera canonica (la relazione sessuale di Mikael con il caporedattore Erika, la bisessualità di Lisbeth; il ruolo di padre male interpretato da Mikael, il rapporto filiale di Lisbeth con il vecchio tutore colto da ictus…). Fincher opera in continuità con la sua filmografia: da Seven a Zodiac, passando per The Social Network (architettato sapientemente come un noir contemporaneo dove pixel e citazioni legali prendono il posto di femmine fatali e pistole), il tasso di spettacolarità si riduce (chi si aspetta un remake hollywoodiano dalle esplosioni esagerate e gli inseguimenti pirotecnici sarà deluso) per fare posto ad una maggiore attenzione alla sensibilità delle forze umane che scendono in campo. Complesse, contraddittorie, ma incredibilmente affascinanti. Come Lisbeth Salander, tanto per capirci.

Questa androgina hacker è il fulcro del film. Donna e bambina, sensualmente ambigua, feroce e spietata, eppure ferita e spaventata, energica e vulnerabile, anaffettiva in apparenza ma dalla tenerezza tenuta volontariamente a freno. Lisbeth è uno dei caratteri più sfaccettati che il cinema (e la letteratura prima) ci abbia presentato in tempi recenti; risoluto e determinato, capace di mantenere tutto sotto controllo, salvo le proprie emozioni. Per questo un personaggio profondamente umano, cui l’interpretazione di Rooney Mara conferisce uno spessore, una sofferenza latente e una disperazione esistenziale difficilmente dimenticabili. Tralasciando quindi la qualità elevatissima della messa in scena (soprattutto di montaggio e fotografia), Millennium sorprende per come riesce a parlare di sentimenti, a umanizzare e far risaltare la componente romantica di un plot avvincente, ma privo di guizzi.

Curiosità
Questa è la seconda trasposizione del romanzo di Stieg Larsson, Uomini che odiano le donne. La prima è del 2009 firmata da Niels Arden Oplev con Michael Nyquist e Noomi Rapace.

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