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Le idi della democrazia

Le idi della democrazia

Ne Le idi di marzo George Clooney ritrae la politica americana, quella democratica di cui sarebbe uno dei sostenitori, vista attraverso un filtro decisamente polemico. Ryan Gosling, ormai attore di culto, si traveste da vice capo ufficio stampa, nel ruolo di gran comunicatore (e di retore), faccia oscura dello stesso Clooney.

La parabola (a)scendente del protagonista si muove sotto il peso delle illusioni di un giovane idealista, le quali lentamente si sgretolano confrontandosi con una realtà più abietta di quella immaginata. L’ispirazione teatrale è evidente (il film è tratto da una piéce di Beau Willimon) e pure la citazione shakespeariana, del Giulio Cesare, in procinto di essere assassinato appunto il giorno delle idi. Non è la prima volta che sentiamo in un film di Clooney parole tratte da una tragedia di Shakespeare. «La colpa, caro Bruto, non è delle stelle, ma nostra», è infatti la citazione che avevamo sentito pronunciare in Good Night and Good Luck. Parole cardine sulle quali risuona la polemica di Clooney, che rivolge le colpe al partito democratico stesso, a coloro che ci lavorano. Questo nuovo capitolo della politica è costruito in maniera impeccabile, seguendo i canoni del thriller, con uno stile registico classico, dove il personaggio di Clooney lascia spazio al suo erede ( in un’intervista al suo night show, Letterman l’ha definito “George Clooney junior”). Gosling ha il volto perfetto di un’idealista, ancora innocente eppure dal fascino oscuro. La vicenda ruota attorno ad altri personaggi dei quali non riusciamo a definire il volto reale (soprattutto nel candidato Morris); Philip Seymour Hoffman, che è il capo addetto stampa, è la rappresentazione di un Meyers ormai vecchio e uso ai meccanismi del potere, privo ormai di ogni fervore, destinato a una fine tranquilla ma di poco conto. Al suo fianco, all’opposizione, c’è invece un ottimo Paul Giamatti, sobillatore senza scrupoli. Notevoli anche i ruoli femminili: Marisa Tomei, giornalista che da sé rappresenta tutti i media (e dunque il rapporto che la politica ha con questi), e l’innocente Evan Rachel Wood, vittima del gioco politico. Crediamo di conoscere Meyers mentre ne seguiamo la storia, ma rimarremo spiazzati, confusi da dubbi sempre più profondi. Uno spettro shakespeariano sembra farsi ombra di ogni attante, ogni membro di quel meccanismo ben oliato della politica americana.

Ad avere in mano i mezzi di comunicazione e il futuro dell’America dunque, c’è un solo carismatico idealista attorniato da nerd. Clooney / Morris interpreta invece un populista, ispirato chiaramente al democratico Obama (anche i manifesti sono fatti dallo stesso artista che li aveva creati per il presidente americano). Ma nonostante le belle parole (suggeritegli dallo stesso Meyers), anch’egli non prescinde all’eterno schema machiavellico e nel farlo si scontra con il suo giovane adepto. Memorabili e leggermente didascaliche alcune scene, che vedono l’opposizione tra la nuova e vecchia politica, quella che si vorrebbe fare e quella che ormai è consolidata: due ombre che si stagliano sullo sfondo di una bandiera americana, e la turbolenza aerea sul jet, che fa traballare Meyers e Morris. L’oscura ombra del potere non risparmia nessuno. Perché ad alimentarla non è il singolo, non è la politica, ma è quello spettro antico che si annida impietosamente tra gli schemi del nostro essere umani, rendendoci tragicamente vuoti di umanità.

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