hideout

cultura dell'immagine e della parola

Aspetta e spera
3 settembre 2011

Mathieu Amalric in una scena del filmPreferisco ri-guardare Contagion, di S. Soderbergh (Fuori Concorso), ri-pensando al significato del titolo più che alla vicenda raccontata, banalmente e superficialmente strutturata come una serie di incontrollabili eventi, in realtà molto controllati, dove il panico, il disgusto e l’orrore per l’umanità si esauriscono in una manciata di minuti. Soderbergh ha detto che si prenderà una pausa dopo questo film (e che il prossimo racconterà la storia di uno spogliarellista), un anno di stop per staccare, e ha dichiarato pure che a lui interessava raccontare il virus. Il film, però, non funziona come dovrebbe, o, come avrei voluto. Poche idee interessanti, poco indagate (su tutte, la questione del contatto con altri umani, vera spina nel fianco della società contemporanea che scambia/altera/alterna/sostituisce/copia e incolla “amici” per “contatti”).

Su questa base, l’idea cioè di un’umanità contagiata dall’impossibilità di avere contatti con altro, avrebbe potuto costruire un film notevole, solido, d’impatto (e non solo catastrofico). Invece no. Così ne resta solo un bel titolo pieno zeppo di attori generosi (Law, Fishburne, Winslet, Cotillard, Paltrow), che mi evoca altri pensieri, altre suggestioni, visto che qui alla Mostra mi sento spesso contagiato dai film, autentici virus per l’esistenza (almeno per questo ritaglio dell’esistenza). A volte trovo pure io un antidoto in grado di salvarmi, altre volte no e sentirmi contagiato e dar voce a questa presenza, a volte, mi spaventa.

Il virus Contagion è stato spazzato via dall’aria fresca di Poulet aux prunes, di Marjane Satrapi e Vincent Parannoud (Concorso), personalmente, finora, il mio film preferito. Nonostante il suo nichilismo Poulet aux prunes, trasposizione cinematografica di un’altra graphic novel della Satrapi, è un film pieno d’amore, poesia, invenzioni e ironia. Con attori in carne e ossa (Amalric, De Medeiros, Mastroianni, Farahani), segue lo stile roboante della messa in scena di Persepolis (a cui spesso rimanda) e racconta la vicenda di un suonatore di violino e degli ultimi otto giorni della sua vita tra ricordi, fantasticherie, inconvenienti, scelte. Un film che ricarica, fa sognare e fa esplodere l’immaginazione e fa battere il cuore. O gli occhi.

Il 4 settembre è il giorno di Crialese con Terraferma (primo film italiano Concorso), ma il 3 è stato il giorno di Cose dell’altro mondo di Francesco Paterno (Controcampo italiano). Accompagnato dalle tre “sorelle p” (polemiche-politiche-pretestuose), il film rappresenta bene una certa Italia di oggi fatta di mediocri, volgari, irresponsabili, cialtroni, immobildeficenti, e con ironia e simpatia, traccia un profilo a tratti spietato, senza vie di fuga, che lascia tutti, senza sconti, con l’amaro in bocca. Il film è semplice ma non è scemo e i tre attori (Abatantuono, Lodovini, Mastandrea) arricchiscono un quadro tutto da esplorare.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»