Un genere senza fine
Il film d’esordio per un regista di videoclip di successo può essere un’arma a doppio taglio. Il rischio di volersi candidare come un autore già affermato, proponendo film pretenziosi o presuntuosi, è sempre dietro l’angolo e sono in pochi ad avere l’umiltà di puntare a un prodotto che abbia caratteristiche tipiche di un genere ben definito, senza l’ambizione di proporsi come il nuovo Fellini. Il cinema italiano infatti ha bisogno di bravi artigiani, come lo furono Lucio Fulci o Sergio Corbucci, che sappiano utilizzare e rielaborare i canoni di generi come l’horror per realizzare film che possano piacere a un pubblico ampio e non necessariamente solo connazionale. Risulta quindi interessante l’idea di Cosimo Alemà di realizzare un film completamente indipendente ma girato in inglese, con lo sguardo ovviamente rivolto a un mercato estero potenzialmente molto vasto. At the End of the Day applica al mondo del softair, sport paramilitare che gode di una nicchia di tutto rispetto, un modello narrativo più che consolidato nel mondo dell’horror, che spesso di fa risalire al Non aprite quella porta di Tobe Hooper.
La sceneggiatura, con il rischio di apparire prevedibile allo spettatore più attento, ripercorre passo dopo passo gli elementi fondamentali di un genere che impone la lenta agonia del gruppo di amici fino all’elezione del last guy standing. La scrittura fin troppo semplice, anche nella costruzione dei personaggi, è sorretta da una buona mano che dirige una macchina da presa adrenalinica e capace di creare grande tensione nelle scene più dinamiche e convulse. Pregi e difetti del film fanno puntare l’ago della bilancia verso un saldo positivo, visto che notoriamente il pubblico affezionato a un genere come l’horror ama la ripetizione quasi più dei tentativi di creare nuovi stili.
Tra gli elementi più interessanti del film, sicuramente spicca la colonna sonora proveniente dal background artistico e musicale di Alemà, che ha impreziosito il film con le sonorità ricercate di gruppi come Soap and Skin, Women in the Woods e Hammock.
A cura di Carlo Prevosti
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