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Nauta: Eroi ed eroina

Eroi ed eroina

Ci sono opere prime che dichiarano sin dalla prima scena un’intenzione, e altre che invece ostentano una pretensione, una dichiarazione di stile prima ancora che di contenuto. Guido Pappadà, il cui studio napoletano ha post-prodotto una parte del miglior cinema italiano (Tornatore, Sorrentino, Capuano e molti altri), ha scelto di passare dai monitor alla macchina da presa per fare il “suo” film e non il film fatto “alla sua maniera”. Ovvio che, nel risultato generale, la generosità di intenti e di ispirazioni (più che di aspirazioni) si scontra con alcune imperfezioni di formato, dovute principalmente a incertezze di sceneggiatura.

Ma nelle sue ingenuità, Nauta, com’è parso alla prima proiezione, è riuscito a comunicare un piccolo universo, un desiderio, un’utopia, sensazioni che magari un primo film stilisticamente perfetto non sempre riesce a fare. Il genere è quello del “sea movie”: non ci sono curve d’asfalto a disegnare un percorso interiore bensì le onde di location magnifiche, dalla costa flegrea a quella cilentana. Il film inizia descrivendo il tipico quadretto italiano di inizio anni Novanta, con un rettore fanfarone che assegna una bella cifra ad un antropologo, Bruno (David Coco, L’uomo di vetro di Incerti) per dichiarare un po’ di soldi spesi in ricerca e per offrire un lavoro a Laura, una biologa (Elena Di Cioccio alla sua prima impresa cinematografica, nel ruolo della “solita raccomandata”). Bruno si muove alla scoperta di un fenomeno naturale misterioso e seducente, coinvolgendo nell’avventura che rapidamente da solipsistica diviene comunitaria, anche il rude capitano Davide, il marinaio che rivela la sua sessualità in mare Max ed il belloccio di turno, fanatico del fitness, Lorenzo. Se nei primi momenti ci concentriamo esclusivamente su chi dei tre avrà mai le attenzioni di Laura, nella parte centrale del film stiamo scoprendo che ognuno, spinto dall’assoluta libertà del mare e dal confronto con l’altro, sta compiendo un proprio percorso molto più importante.

Sarà per questo che il finale riprende una bella quota, con delle soluzioni forse non originalissime (Laura che da sterile resta incinta, Bruno che ritrova l’amore per la moglie, Lorenzo che abbandona uno stile di vita da gigolò) ma orchestrate con armonia e soprattutto, molta tenerezza. Ottimi gli effetti speciali, ai quali di solito il cinema italiano non dedica molto interesse e valida la prova di ogni attore. E di tutte le spiegazioni pseudo-scientifiche che hanno motivato il viaggio, cosa resta? Nulla, era tutto un trip suggerito da una dose d’eroina, in sarcastico contraltare di un eroe di viaggio che non arriva mai, ma che in fondo, lascia il posto a veri esseri umani, con tutta la loro fragile forma.

Curiosità
Il film è stato l’unico italiano in concorso al Byron Bay Film Festival di Brisbane, in Australia, in cui ha riscosso molto successo.

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