hideout

cultura dell'immagine e della parola

¡Qué viva Machete!

¡Qué viva Machete!

«They just fucked with the wrong Mexican», e lasciamo al lettore la traduzione. Eh si, perché, dopo la presentazione fuori concorso a Venezia, arriva anche in Italia, con oltre otto mesi di ritardo, Machete, ovvero l’opera che farà impallidire tutti gli sciapi e complessati eroi che ci siamo sorbiti negli ultimi tempi. Robert Rodriguez inverte i ruoli e porta sullo schermo uno dei suoi attori feticcio (Danny Trejo, ex galeotto per spaccio di droga), ritagliandogli per la prima volta un ruolo da protagonista, al centro di un cast di fatto di grandi stelle.

Di Machete, lasciando stare la trama, suvvia, potremmo raccontare la gestazione (l’idea covava da anni nella testa di Rodriguez) e del fake trailer realizzato per accompagnare l’uscita di Grindhouse – Planet Terror, che riscosse un tale successo da lanciare la versione cinematografica stand-alone. Detto, fatto. Il punto debole del progetto (trasformare il divertissement in film solido) ne diventa l’arma segreta: Machete è cafone, sboccato, splatter, soft-porno, politicamente scorretto, politico, anarchico, citazionista, fine a se stesso e di un kitsch che non conosce vergogna (la sequenza delle budelle srotolate? La signorina che nasconde il cellulare nelle parti intime?). Ma è Cinema puro e Rodriguez dimostra di avere imparato la lezione dell’amico e mentore Tarantino (ma chi ha imparato da chi?). Di Machete potremmo dire che non si prende mai sul serio, a cominciare dal protagonista: coltellaccio e fisico su cui Rodriguez scolpisce la muscolarità di una vicenda che procede per accumulazione coatta di scene-chiave e battute che diventeranno cult. Per non parlare dell’uso dell’imbolsito Seagal nei panni del cattivo. O di De Niro che qui trova finalmente un ruolo degno dopo le ultime porcate a cui ci ha abituato: un senatore teo-dem duro e puro, di quelli belli ignoranti, fautore di una sanguinaria politica contro l’immigrazione clandestina. No, non siamo in Italia e il Senatore non è quello ‘verde’ con gli occhiali, ma ci voleva Rodriguez per dire chiaro e tondo qualcosa sulla questione immigrazione, invece dei soliti filmetti di denuncia coi loro mosci sotto-testi politici? Di Machete potremmo citare la carrellata di personaggi memorabili (il fratello prete del nostro bad guy, il trio-sexy Lohan-Rodriguez-Alba) di questo Rambo latino che vira sul western (post-moderno) di frontiera; i primi cinque minuti del prologo, già carichi di ettolitri di sangue, con impressa la poetica di Rodriguez e la voglia, vivaddio, di non prendersi sul serio, casomai di darle sul serio: si gioca con la materia filmica come chi, passati i 40, realizza il progetto sognato. E poi la fotografia curata e virtuosismi tecnici che altri b-movie si sognano.

Di Machete potremmo dire tutto questo. Ma il senso dell’operazione sta nei titoli di coda dove si annunciano i sequel: Machete uccide e Machete uccide ancora. Fake pure questi? Chissene. Noi stiamo al giochino e lasciamo al protagonista la chiusa: «Perché dovrei essere una persona reale se sono già una leggenda? ».

Curiosità
Machete Cortez era il nome del personaggio di Danny Trejo in Spy Kids, lo zio dei piccoli Carmen e Juno. E proprio Juno, Daryl Samara, appare anche in Machete: è il messicano adottato. E sempre nel gioco dei rimandi, anche le due gemelle stronze di Planet Terror tornano in Machete, come infermiere sexy, premurose e mitra-munite.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»