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Storia immortale

Storia immortale

Emidio Greco torna dietro la macchina da presa per portare sullo schermo un celebre romanzo del 1964 di Franco Lucentini. Nella trasposizione però il tempo può sembrare quello del nostro oggi, sebbene a fare da sfondo alla vicenda personale ci sia una “casa di piacere” post-legge Merlin. Protagonista, con la solita perfetta immedesimazione, che fa piangere e sorridere allo stesso tempo, è Giuseppe Battiston. Il “professore” è un personaggio che ricorda quelli dei racconti di Dino Buzzati, fuori dal mondo e dal tempo, quasi in maniera fantastica, eppure così vicino al nostro modo di pensare. Greco, attraverso la regia, ci fa entrare nella testa e nei pensieri del Professore, divagare insieme a lui mentre qualcuno ci parla, osservare a lungo pezzi di realtà che non ha logica, fine a se stessa, come il mozzicone di una sigaretta che sparge la sua cenere tra gli anfratti di un pavimento irregolare di un tram. I suoi dialoghi con la “Marchesa”, ruolo impersonato da Ambra Angiolini, che riesce a mostrarsi tesa e “aristocratica”, sono frammenti apparentemente inutili, ma che sprigionano profondi significati.

Notizie dagli scavi sono i racconti, corredati da immagini da documentario artistico, sulle antiche rovine di Villa Adriana a Tivoli, anche questi frammenti inspiegabili ma che nascondono un senso, magari non del tutto conoscibile, nemmeno agli “esperti”. Le atmosfere che attorniano i protagonisti sono a volte vuote, e di certo Battiston riesce a colmare questi anfratti con grande emotività, forse un po’ meno Ambra Angiolini. Roma ci sembra una città abbandonata, lontano dal solito frastuono, ma non così lontana dai nostri giorni in fondo. L’ironia dei dialoghi sembra a volte poco comprensibile, quello che il Professore dice non fa ridere di per sé, insieme alla “Marchesa” sorridiamo quasi con nostalgia, per quell’anima stravagante che pare vivere esclusivamente per se stessa. Inconsapevole di quello che sta accadendo. Ingenuo, si, o forse sarebbe meglio dire “alieno”. Così lontano dal nostro modo di vivere e da quello di tutti, eppure ricco di un’intensa bellezza. Come una villa abbandonata.

Greco riesce a riportare alla vita con estrema leggerezza una storia sepolta, una favola che trascende tempo e luoghi, e che parla della solitudine di due anime. Personaggi troppo diversi, troppo estremi per riuscire ad adattarsi in questo mondo, come dei cocci rotti e sparsi senza senso. E non è facile ricostruire un significato, ridare vita a questi frammenti dispersi e solitari, ci vuole tempo, o forse è solo questione di fortuna. La bellezza di questa favola è notevole, come un tempio antico che si rispecchia nelle acque, solo ed imponente.

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