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Il discorso del Re trionfa agli Oscar

I quattro attori premiati dall'AccademyRe Giorgio VI batte Mark Zuckerberg 4 a 3, ma lo scarto, visto il peso dei premi conquistati, è indubbiamente più profondo. Il sorpasso c’è stato, così com’era già successo nel 1999 tra Salvate il soldato Ryan e Shakespeare in Love, che allora consacrò quest’ultimo proprio all’ultimo Oscar. Il discorso del re conquista infatti l’ambita statuetta di miglior film dell’anno, ma anche quelle di miglior regista per Tom Hooper, all’attore protagonista, andato al favoritissimo Colin Firth, e per la miglior sceneggiatura originale andata a David Seidler.

Un poker prestigioso insomma, anche se la pellicola partiva con ben 12 nomination complessive. Dall’altra parte il grande sconfitto è invece The Social Network, che sembrava essere in vantaggio, ma che nelle ultime settimane, dopo i mancati riconoscimenti ai SAG e DGA, ha perso nettamente terreno, facendosi rimontare e superare proprio in dirittura d’arrivo. Per la pellicola comunque tre Oscar, quello strameritato andato ad Aaron Sorkin per la miglior sceneggiatura non originale (tratta dal libro Miliardari per caso di Ben Mezrich) e quelli per il miglior montaggio (Angus Wall e Kirk Baxter) e colonna sonora, rispettivamente a Trent Reznor (leader dei Nine Inch Nails) e Atticus Ross. Ancora niente da fare per David Fincher, in un anno che sarebbe potuto (e forse dovuto) essere il suo per quanto riguarda la regia. Entrambe le pellicole erano indubbiamente meritevoli, ma giocavano su due partite molto diverse. Da un lato l’attualità di un fenomeno legato al nostro presente, dall’altro, una storia che lanciava un messaggio che andava al di là del contesto temporale e che per la sua forza di storia edificante e di valori forse ha convinto di più. Altra pellicola che esce in parte vincente dalla serata è Inception, che colleziona ben 4 premi Oscar tecnici (migliori effetti speciali, fotografia, mixaggio e montaggio del suono), un riconoscimento alla genialità di Christopher Nolan, ma soprattutto ad un lavoro creativo di altissimo livello. Come per Colin Firth, rispettati i pronostici post Golden Globe anche per le altre categorie attoriali. Confermata infatti miglior attrice protagonista Natalie Portman per Black Swan e i riconoscimenti per i migliori attori non protagonisti andati a Melissa Leo e Christian Bale in The Fighter. Ma l’83esima edizione di quest’anno è stata caratterizzata anche da due piccoli record, da un lato nella categoria makeup settimo Oscar della carriera (!) per il mago del trucco Rick Baker (Wolfman), e secondo Oscar per Randy Newman (miglior canzone originale) su 20 nomination per Toy Story 3, che porta a casa anche il riconoscimento di miglior film d’animazione dell’anno, un dominio Pixar che ad oggi non conosce fine. Sorridono anche Tim Burton per i due Oscar andati ad Alice in Wonderland (costumi e scenografia), Susanne Bier che vince per la Danimarca il premio come miglior film straniero (In un mondo migliore) e la coppia Charles Ferguson – Audrey Marrs, che con Inside Job vince (con accenno politico) per il miglior documentario.

Doveva essere un’edizione di “rottura” e lo è stata, ma in senso opposto, risultando una tra le più noiose degli ultimi anni. Non sono bastati due cerimonieri giovani e di talento come Anne Hathaway e James Franco a cercare di rinvigorire ritmi e scalette, o i siparietti improvvisati di Kirk Douglas (94 anni) e Billy Cristal, per movimentare una serata, che ha invece ha seguito il suo consueto programma istituzionale fatto di ringraziamenti chilometrici e liste di nomi. Nel momento dedicato agli artisti scomparsi durante l’ultimo anno, da Dennis Hopper ad Arthur Penn, a Claude Chabrol, c’è stato infine l’unico bagliore italiano con il ricordo di Dino De Laurentis e (per fortuna) di Mario Monicelli.

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