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Naturalismo da Oscar

Naturalismo da Oscar

Se dovessimo addentrarci in un paragone tra Il grinta (True Grit, 1969) originale, interpretato da John Wayne, e il film dei Coen dove ad essere lo sceriffo è invece Jeff Bridges, ci accorgeremmo innanzitutto di quanto, anche nelle nostre aspettative, siano cambiati i canoni estetici. La regia di Joel ed Ethan Coen, grazie forse anche ai mezzi tecnici attuali, riesce a ricreare un’ambientazione western, senza allontanarsi dai canoni del genere, nella maniera più realistica possibile, e avvicinandosi maggiormente il libro di Charles Portis dal quale è tratto.

I Coen riescono a dare voce alla narrazione tramite le parole della protagonista, l’eroina che vuole portare la sua vendetta attraverso l’aiuto dell’eroe (piuttosto antieroico). La storia è esattamente la stessa del film diretto da Henry Hathaway nel ’69, ma prende una direzione “meno buonista” proprio grazie alla messa in scena. I costumi studiati da Mary Zophres, per esempio, ricostruiscono minuziosamente l’aspetto di una società del west: sono scuri, pesanti, invecchiati, sporchi e insudiciati. Insomma reali. Come nell’arte del naturalismo, ogni cosa nell’ambientazione, nelle atmosfere e nei personaggi è così realistica da raggiungere una perfezione surreale. La protagonista è una ragazzina determinata (bravissima Hailee Stanfeld), superficialmente poco emotiva e con caratteristiche piuttosto maschili nel temperamento. Nonostante ciò l’aspetto è quello di una qualunque quattordicenne del 1870 di fede cristiana (figlia dei padri pellegrini): vestita di nero e con le trecce in stile La casa nella prateria. Eppure, da vero eroe del west, porta la pistola e gli stivali e cerca di guadagnarsi i suoi speroni.

Lo stile registico segue minuziosamente e senza sbavature l’alternarsi di dialoghi, eventi e dei magnifici paesaggi da manuale del genere western. I tagli del montaggio velocizzano all’aumentare dell’adrenalina, le inquadrature si ampliano alla ricerca dello spazio sconfinato delle terre selvagge. Le luci sono soffuse dalla polvere di un west dove cade anche la neve, dove ci sono tramonti mozzafiato, ma anche giornate più grigie. È proprio nel genere stesso del western, nella classicità dei suoi canoni, che i Coen riescono a sperimentare la loro capacità registica. I personaggi sono più veri e meno perfetti, dallo stesso grinta, interpretato da un Jeff Bridges che oltre ad avere il “reale coraggio” (True Grit è il titolo originale) è anche più ubriaco e sudicio di quanto lo fosse John Wayne, a Matt Damon che dà finalmente un senso e un anima al ruolo di LeBoeuf. «Il tempo ci sfugge» recita la voce narrante, e con questo film possiamo davvero dire di essercene accorti osservando in poco meno di due ore l’evoluzione del cinema stesso, che è in grado oggi di offrirci la preziosa e inconfondibile arte di Joel e Ethan Coen.

Curiosità
Più che un remake, Il grinta dei Coen e una trasposizione più fedele dell’omonimo libro di Charles Portis che in Italia fu tradotto nel 1969 con il buffo e ambiguo titolo di Un vero uomo per Mattie Ross.

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