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Tempi lunghi per innamorarsi

Tempi lunghi per innamorarsi

Come lo sai… di essere innamorato? Questo il senso del titolo originale e italiano dell’ultimo film di James L. Brooks. Una romantic comedy uccisa con gentilezza dai tempi lunghi che minano l’attenzione di chi ormai è abituato a ritmi ben più sostenuti. Non è solo il montaggio poco incisivo a diluire l’interesse nel film, ma anche la mancanza di un vero centro di gravità, che in ogni film di questo genere dovrebbe coincidere con la coppia. In Come lo sai non esiste una tensione costante tra i due elementi della would-be couple. E in questa assenza si nasconde sia il punto debole che l’originalità del film, che non vuole essere né mainstream né vuole strutturarsi secondo alcuno standard narrativo. L’ago della storia pende nettamente a favore della protagonista femminile (come in molti film del regista) e attorno a lei ruotano tre figure maschili poco amalgamate tra loro e funzionali solo ai fini del racconto.

I tre personaggi in oggetto sono rappresentati dall’innamorato(George), reso dal delicato tocco di Paul Rudd, dal rivale (Matty), che nella versione di Owen Wilson non parrebbe dare troppo filo da torcere al primo, e dall’antagonista (il padre di George), che mette i bastoni tra le ruote ai progetti sentimentali del figlio e che nemmeno Jack Nicholson sa rendere pienamente credibile. Sono lontani i tempi di Qualcosa è cambiato, la commedia romantica in cui per la prima volta lo si vedeva in un ruolo per lui inedito, un personaggio, certo, indimenticabile. Nulla di simile può essere detto per i personaggi di Come lo sai, che non riescono proprio a lasciare il segno. Witherspoon, Rudd, Wilson e Nicholson sono bravi, ma non in sintonia tra loro. Ognuno è il protagonista di una sottotrama che riesce ad avere il sopravvento e ad adombrare il plot primario tra Lisa e George, a discapito della consistenza narrativa. La pellicola sbaglia quando registra pedissequamente le mosse e le incertezze della protagonista Reese Witherspoon: è lei che muove i due pretendenti come fossero pedine, ne decide il futuro e ne determina il destino. Rudd e Wilson non sono dei veri e propri attanti: il primo lascia nelle mani di lei il suo futuro (indeciso se sacrificare o meno la propria vita sentimentale andando in prigione al posto del padre); il secondo è un playboy sconclusionato e infantile che, in fondo, non tiene molto a che lei si fidanzi con lui. Il film perde così quel dinamismo che solo un vero antagonismo tra i due pretendenti avrebbe potuto giocare. A dirla tutta, non viene nemmeno sfruttata l’energia data dalla naturale alchimia tra amanti – con deleteri effetti sul coinvolgimento emozionale dello spettatore. Il fatto che la protagonista sia una sportiva, una persona abile a controllare le emozioni, allontana ancor di più dal processo di identificazione.

Il plot, a volte episodico, a volte specchio riflesso dei ritmi quotidiani, risulta essere incostante e confuso. I dialoghi non hanno una decisa tagline, sono troppo verbosi e fanno perdere il fuoco del discorso allo spettatore. Un esempio è la storiella sull’inventore del Play-doh, che non riesce a essere abbastanza incisiva per segnare il climax della storia, il suo punto di non ritorno. Non si capisce bene se James L. Brooks voglia trasmettere il messaggio che per ognuno di noi esiste l’anima gemella, oppure intende dirci che quel che capita nella vita è che alla fine bisogna accontentarsi del meno peggio. È ovvio che questa mancata chiarezza nel messaggio non può che deprimere il pubblico, in attesa di una storia d’amore o per lo meno di una commedia spassosa dai tempi giusti e dalle battute argute. Come lo sai soffre, quindi, oltre al resto, anche dell’incapacità di inserirsi in un genere preciso. E così, alla fine quel che resta è solo il bel faccino imbronciato di Reese Witherspoon.

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