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Nessuno è straniero dentro la terra di nessuno

Nessuno è straniero dentro la terra di nessuno

Due vite spiate dal buco di una serratura: quella della quotidianità, quella su cui non ci si sofferma che raramente, perchè fin troppo scontata agli occhi di tutti. Due uomini, Diego (Alessandro Gassman) e Walib (Amr Waked), sono così diversi eppure allo stesso tempo così simili, due anime che in un punto, nel dolore, si toccano. Dopo sette anni passati lontano dalla macchina da presa, Ricky Tognazzi cerca di tornare allo spirito dei suoi primi passi e di mettere in scena la storia di un’amicizia. Un’amicizia di quelle vere, un’amicizia in nome della quale varrebbe la pena sacrificare ogni cosa, anche la propria vita. Un’amicizia difficile da riscontrare tra le strade di una grande città, dove ogni persona diventa, con l’abitudine, priva di nome.

«Non c’è niente di più prezioso del tempo e passarlo insieme è la vera fortuna» dice Walib. Attraverso di lui Tognazzi esprime un suo personale punto di vista riguardo alla vita, di partecipazione all’esistenza, vista come festa danzante e piena di gioia, resa ancora più spettacolare dalla condivisione con le persone amate. E non importa quanto gli uomini possano essere diversi tra loro. La diversità è presente soltanto in superficie, nel colore della pelle o nella forma degli occhi, ma in profondità, nel loro essere umani, essi son tutti uguali. Tutti provvisti di un cuore e del perdono. E proprio quest’ultimo, e Tognazzi lo sa, è ciò che azzera e rende priva di consistenza ogni differenza esistente in superficie, come se fosse spuma.

“Quando ci sono troppi galli a cantare non si fa mai giorno” recitava un vecchio proverbio. Quattro sceneggiatori, tra cui lo stesso regista e l’autore della storia da cui è tratto il film, un cineasta che da troppo tempo sembra aver perso lucidità, un cast di attori bravi ma poco sfruttati nelle loro potenzialità, troppi temi sostanziosi affondati con brevi morsi da una lama non troppo precisa e scene che si susseguono troppo rapidamente causando un leggero senso di mal di mare. Il tutto per comporre un mondo visto come “pastiche”, ovvero pasticcio, garbuglio, per dirla col linguaggio gaddiano. Il film diventa così una rappresentazione perfetta della superficialità tipica dell’animo italiano, sempre con le mani cacciate dentro mille impasti ma capace ancora,a volte, di stupire con delle vette – poche seppur intense – di lirismo e profondità.

Curiosità
Film presentato Fuori Concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, Il padre e lo straniero è riconosciuto di interesse culturale con sostegno del ministero per i beni e le attività culturali per il cinema.

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