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Archetipi dentro la modernità

Archetipi dentro la modernità

Riparte con Sono il numero quattro la stagione delle saghe fantastiche o fantascientifiche tratte da romanzi rinomati. A cimentarsi nell’impresa stavolta è D.J. Caruso, regista che dopo Disturbia (2007) ed Eagle Eye (2008) continua le sue incursioni nel genere thriller, qui rinforzato dalla presenza del paranormale, il tutto mescolato all’interno di mondo fumettistico, in cui è in corso la millenaria battaglia tra buoni e cattivi.

La battaglia si svolge sul pianeta Terra dove alieni e umani si relazionano e si scontrano, ma diversamente da molti film del genere, i buoni non sono necessariamente gli umani, anzi. John Smith è un adolescente esattamente come tanti altri, o meglio, vorrebbe esserlo, ma in realtà nasconde un pesante segreto. In apparenza compie regolarmente tutte le attività svolte dai ragazzi della sua età: studia, esce con gli amici, si diverte, si innamora. Nessuno, a parte il padre (in realtà un tutore umano scelto per proteggerlo), conosce le potenzialità che si nascondono dietro quel suo fisico in bilico tra adolescenza e età adulta e un viso dall’aria ingenua (una specie di fratello minore del Dawson Leery di Dawson’s Creek). Sempre in fuga, John in realtà non si chiama John, non può avere amici e per difendere la sua finta identità, è continuamente spinto a frenare i propri istinti, sentendosi un diverso. Una metafora dell’adolescenza che, come tutti ricordiamo, non è un periodo tutto rosa e fiori. Sono molte le spine che feriscono un’età così difficile, dove si vive continuamente in bilico tra l’esigenza di crescere e la volontà di non perdere l’innocenza. Anche per John è così e sebbene sappia, a differenza dei coetanei umani, quale sia il proprio destino. Invece lui vorrebbe poter scegliere, prendere posizione, decidere autonomamente se diventare “buono o cattivo”. Un percorso già difficile, ma complicato dalla natura umana (e aliena) per cui sarebbe facile scacciare dissensi e solitudine adeguandosi all’identità sociale voluta dal gruppo: se tutti non sono che numeri, allora nessuno si sente solo. Illusioni dentro le quali è comodo baloccarsi ma che per John non esistono. Lui è già un numero, sebbene speciale, costretto percorrere un sentiero determinato fin da bambino. Una vita frenetica resa grazie a una messa in scena rutilante e spettacolare, che ci ricorda con l’ossessiva presenza di smart phone e nuove tecnologie sempre pronte a spiarci e immortalarci in rete, che stiamo parlando dell’oggi, una modernità dove gli alieni sono fra noi. Non mancano colpi di scena molto spettacolari (nel senso degli effetti speciali) ma per nulla emozionanti. Divertente, questo sì, fracassone, ricco di tutti gli ingredienti utili per catalizzare l’attenzione dei ragazzi: personaggi con superpoteri, thriller, azione e storie d’amore da telenovela romantica.

Interessante invece l’uso della fotografia di Guillermo Navarro che sottolinea, confermandola, la dialettica tra giusto e sbagliato nella dualità delle immagini. Non a caso il personaggio di Sarah (la bella compagna di scuola di John) è una fotografa i cui scatti “analogici” diventano un riflesso meta cinematografico funzionale al racconto. La storia è quindi semplice, archetipica, ma incastonata in una struttura moderna che non appesantisce mai il ritmo, nonostante i molteplici rimandi e omaggi cinefili (un esempio: la scena al mare tra il protagonista e la ragazza in bikini riporta alla mente la scena cult de Lo squalo di Spielberg), e un citazionismo onnivoro che non risulta mai didascalico o noioso.

Curiosità
Sono il numero quattro è un bestseller di Pittacus Lore, alias del duo formato da James Frey e Jobie Hughes, primo capitolo di una serie che prevedrebbe sei romanzi. L’adattamento per lo schermo è stato realizzato da Marti Noxon, insieme a Alfred Gough e Miles Millar già sceneggiatori di Smallville, Spider-Man 2 e Buffy l’ammazzavampiri. E si vede.

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