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cultura dell'immagine e della parola

Torino Film Festival
Diario 2010, Giorno 4

Una scena da Winter's BoneSale piene, proiezioni esaurite, file ordinate. Il TFF tira le somme dei primi tre giorni di proiezioni e snocciola anche qualche dato decisamente sorprendere, come quello relativo agli incassi, cresciuti del 19% rispetto all’anno precedente.

Per quanto riguarda le proiezioni, la storia di una madre e un figlio con poteri paranormali in fuga da una coppia di stregoni alla loro caccia è l’incipit originale di Outcast, presentato oggi per Rapporto Confidenziale: un horror atipico, difficile da incasellare nei più disparati sotto-generi di questi anni. Magie, mitologie celtiche, capi-santoni, riti esoeterici e bestie disuame. Outcast cambia rapidamente e piacevolmente immaginari narrativi, iniziando dalla stregonia e terminando nella bestialità (e nello splatter) degli horror meno metafisici. Ma c’è di più: Outcast si serve abilmente di un contesto sociale, quello delle periferie disagiate di Edimburgo, per raccontare anche le storie della “nuove povertà” ai margini di una città (e forse di una nazione), inserendo drammi familiari e conflitti etnici di un Irlanda profeticamente ribaltata fin dentro le cronache attuali sulla sua crisi economica. Pessimismo sociale dunque, che appare evidente fin nella caratterizzazione dei due poli esoterici in conflitto fra di loro nel film: anche a proiezione terminata non siamo capaci di capire ed individuare quali delle due coppie (madre e figlio o cacciatori dalla “nuova pelle”) impersonifica davvero l’antagonista maligno, ma anzi, tutto ci appare immerso in una sconvolgente e amarissima magia nera, un male in continua lotta con se stesso, come un moto oscuro e perpetuo destinato a propagarsi in futuro attraverso una ri-generazione continua e costante di mostri divoratori. Nessun lieto fine, ma una riproposizione di un immaginario che ha la coraggiosa ambizione di reinventare le convenzioni di un genere.

Per il Concorso è stata la volta di Winter’s Bone, intenso dramma statunitense diretto da Debra Granik e ispirato al romanzo di Daniel Woodrell. Opera fortunatissima (Gran Premio della Giuria come miglior film e premio per la miglior sceneggiatura al Sundance 2010) che è sospesa a metà fra ritratto familiare e noir, e dove la giovanissima Jennifer Lawrence è una rivelazione assoluta. Il suo personaggio è quella di una diciasettenne e del suo tentativo di salvare il poco della casa e della terra che restano alla sua disastrata famiglia – madre psichicamente instabile, padre spacciatore e scomparso e due fratellini da accudire. Notevole sceneggiatura, ottime interpretazioni e una colonna sonora fra le più belle sentite in concorso. E se la comunità montana del film e le sue ambientazioni (le Ozark Mountains, tra Missouri e Arkansas) ricordano una sorta di nuova e decadente Twin Peaks (non a caso, nel cast c’è un cameo di Shirly “Laura Palmer” Lee) dall’altra la ricerca del padre si trasformerà sopratutto in una prova del fuoco per una maturità precoce della giovane protagonista, disarmante e commovente.

Infine per Festa Mobile è soprattutto Inside America dell’austriaca Barbara Eder che emerge più degli altri: il suo è un affresco crudele e incalzante di un’America di frontiera, quella di Brownsville, in Texas, a poche miglia dal confine messicano. Le storie degli adolescenti che si incrociano e si incontrano nella locale Hanna High School (liceo realmente frequentato in passato dalla stessa regista austriaca) fanno intravedere un percorso di vita schiacciato da una routine fatta di droga, violenza, concorsi di bellezza per giovani miss e scontri generazionali (a volte divertenti altri inevitabilmente drammatici). Uno sguardo radicato in una società spietata fatta di un futuro illusorio e incubato inutilmente, come quell’uovo (protagonista simbolico della vicenda) la cui fragilità sembra essere identica a quella di una generazione senza più orizzonti.

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