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Immortale?

Immortale?

L’introduzione de L’immortale, muta e breve, traccia con chiarezza sufficiente la situazione narrativa di partenza del film e semina una buona dose di curiosità nello spettatore: un padre di famiglia di nome Charly Matteï viene crivellato di colpi in un parcheggio sotterraneo mentre il suo bambino aspetta che esca, sul marciapiede. La tecnica di ripresa, che accantona i movimenti fluidi nella scena della sparatoria per mostrare lo scontro con la macchina in spalla, stacchi veloci e alternanza tra ralenti e velocità normale, è anch’essa un’attrazione tecnica molto efficace; il trucco, poi, è cosi realistico da provocare repulsione, se si osserva lo stato in cui lo sventurato Charly è ridotto.

Quando la narrazione prosegue, tuttavia, i virtuosismi tecnici come il montaggio parallelo, gli stacchi sul movimento di personaggi in luoghi diversi o la presenza di flashback dai colori spenti che contrastano col presente e chiariscono i retroscena del racconto, sembrano acquisire più importanza della trama stessa, che consiste in una serie di vendette, programmate ed eseguite dall’ex boss della mafia Charly. Quando questi virtuosismi si rarefanno, si comprende più facilmente la natura esile della storia, e non ci si affeziona facilmente ai personaggi. Charly, interpretato da Jean Reno, e la poliziotta che gli dà la caccia, Marie Goldman (Marina Foïs) sono i più credibili, gli altri sembrano automi: la violenza brutale che trapela all’inizio del film, comprensibile in un ambiente del genere, non è smussata da alcun tratto umano o debolezza, se si esclude qualche piagnisteo in punto di morte.

La tensione c’è, soprattutto in alcune scene in cui è a rischio la vita del protagonista, ma non è abbastanza forte da coinvolgere fino in fondo. Il finale aperto, che riscatta parzialmente il film e ricorda la celeberrima conclusione de I quattrocento colpi (Les quatre cents coups, 1959, Francois Truffaut) lascia un interrogativo insoluto: è possibile liberarsi del proprio passato, pur lasciando uno stuolo di morti dietro di sé?

Curiosità
La storia raccontata dal film prende ispirazione da quanto successo a Jacky Imbert, un criminale francese sopravvissuto a una raffica di proiettili (rimase solo paralizzato a un braccio). Imbert ha poi continuato la sua attività: due anni fa, ottantenne, è stato ancora condannato per estorsione.

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