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cultura dell'immagine e della parola

La corazza e la tana

La corazza e la tana

Si parte da una corteccia, quella di un albero in un bosco della Germania, per arrivare a toccare con mano quella di un uomo in fuga (da tutto e da tutti). Si passa attraverso un bosco, sulle tracce di un cinghiale, e si accompagna l’uomo (che insegue ma è inseguito, che è predatore ma poi è preda) alla ricerca del piatto del giorno: cinghiale e gamberi. La corteccia e la caccia, una ferma l’altra in movimento. Così, tanto per incidere le intenzioni fin da subito: stare fermi in un punto e aspettare, oppure muoversi e cercare. Due condizioni originarie costruite per esprimere l’essenza di un film che comunica con il significato delle immagini, prima ancora che con quello delle parole. Anche se le parole, la lingua, il linguaggio, diventano fondamentali in un secondo momento. Da un altro punto di vista.

La corazza dell’uomo, intaccata da agenti esterni (come i chiodi che penetrano nella corteccia dell’albero, così poi l’albero muore e lo si può sostituire con altro) ma anche la caffettiera scoperchiata (dalla quale esce caffé che rimanda al sangue che da lì a poco sgorgherà, innaffierà, dilagherà sul pavimento) e la barba del finale, sono solo tre elementi visivi che lasciano una traccia, un’impronta significativa e sembra vadano verso la tutela di quella “vita tranquilla”, che oltre a rappresentare un titolo comodo di un film, rappresenta pure quello status quo, quel punto di non ritorno che sta in equilibrio. Sono pure, forse, l’intenzione pratica e pragmatica di un vivere felicemente, senza problemi (i chiodi di prima), senza gli ostacoli del passato o senza qualcuno che possa trovarti e ucciderti. Il film di Cupellini segue questa direzione. Alterna realismo e simbolismo per raccontare il cambiamento della vita di un uomo, Rosario Russo, emigrato in Germania dalla Campania, che un giorno è costretto ad affrontare il suo passato, guardando negli occhi il ritorno del proprio figlio. Il regista di Lezioni di cioccolato si affaccia dunque su un genere nuovo, sfiora il noir e rielabora un racconto di Filippo Gravino, Il nemico dell’acqua, vincitore del Premio Solinas Storie per il Cinema nel 2003, e sembra desiderare, fin dalle prime inquadrature, di voler raccontare la molteplicità di vite del proprio protagonista. Il problema dell’identità qui è certamente uno dei più ingombranti. Rosario è due volte padre, spietato serial killer, rinomato chef e rispettato ristoratore, marito premuroso. Inoltre, nel film la distanza tra identità personale e habitat naturale è ridotta ai minimi termini, come sembra stiano a dimostrare le ripetute sequenza di caccia o i continui riferimenti alla selvaticità del cinghiale, oppure il costante collegamento con l’attualità del commercio di rifiuti.

Il film risente dell’influsso delle sue stesse possibilità: funziona ma sembra condizionato dalle sue condizioni (di successo). Da una parte, l’attore. Toni Servillo, da Le conseguenze dell’amore difficilmente è riuscito a staccarsi dal personaggio di Titta Di Girolamo. Anzi, difficilmente gli hanno affidato e lui difficilmente ha accettato ruoli diversi da quello. Qui, nonostante i riferimenti al film di Sorrentino siano parecchi, Una vita tranquilla mantiene una propria identità (cosa che, invece, in Gorbaciof di Incerti, personalmente resta più in bilico/pericolo). Dall’altra parte, le atmosfere e le musiche. La Germania ricorda la Svizzera, comunque riconduce all’idea di una tranquillità sociale apparente, e le musiche sono curate da Theo Teardo. Il musicista è un fuoriclasse nel panorama delle colonne sonore (non è un caso che abbia lavorato molto con Sorrentino) e anche in questo caso il lavoro compiuto sugli aspetti sonori (visto che si svilupperà una traccia tutta riferita al valore della lingua, piuttosto che ai rumori innescati dall’essere umano in circostanze di pericolo o ai silenzi invadenti e pesanti) è notevole e profondo. Tuttavia la sensazione di assistere ad un approfondimento o a un’amplificazione di un film già visto e imbavagliato nella vicenda più che rivolto a sciogliere le sue problematiche, torna più volte. Ma il tentativo resta positivo.

Curiosità
Acaba Produzioni è una società di produzione cinematografica, fondata nel 2005 da Fabrizio Mosca. La società si avvale di un network di rapporti internazionali in continua crescita e di un team creativo che mira a intensificare lo sviluppo di differenti progetti e a scoprire giovani talenti nel campo della scrittura per immagini e della regia. L’obiettivo di Acaba Produzioni è espandere la propria linea editoriale, attraverso l’esplorazione di differenti generi e formati, continuando a perseguire la passione per un cinema e una televisione di qualità che ha contraddistinto fin dagli inizi il lavoro di Fabrizio Mosca.

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