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cultura dell'immagine e della parola

Venezia, i film:
13 Assassins

Una scena di 13 AssassinsMiike Takeshi, l’enfant terrible del cinema giapponese, sbarca al Lido con ben due opere Zebraman 2: Attack on Zebra City, presentato fuori concorso, nuovo capitolo di una saga di supereroi, e soprattutto con 13 Assassins, presentato in concorso, remake di un omonimo film del 1963. Si tratta di un classico jidai-geki, film di samurai che sono tornati in voga in Giappone ormai da vent’anni.

Come le ultime opere di questo genere, è un “jidai-geki crepuscolare”, ambientato cioè negli ultimi anni dell’era Edo, quando il mondo dei samurai era ormai irrimediabilmente destinato al declino.
Miike torna dunque al classicismo e, all’interno di un film sontuoso per costumi e ricostruzioni d’epoca medioevale, il regista di Ichi the Killer inserisce una serie di immagini estremamente disturbanti. Non ci risparmia la visione di una donna cui sono state amputate gambe e braccia per un capriccio del signore feudale, che si diverte anche a tirare frecce, uccidendoli uno a uno, a una famiglia di servi, bambino compreso. E’ di un personaggio davvero miikiano, una sorta di dandy sadico che sogna di fare la guerra.

Ma la violenza è solo psicologia e il regista evita di mostrare qualsiasi effetto da grand guignol: le ferite, le penetrazioni con spada, le decapitazioni sono spesso fuori campo e, in modo antirealistico, non viene mostrata neanche una goccia di sangue. Il finale del film segna il trionfo della concezione umanista del regista, dove i valori dei samurai e il loro codice appaiono come un qualcosa di disumano e decadente.

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