hideout

cultura dell'immagine e della parola

Aspetta e spera
Venezia, 9 settembre

Samuel Maoz e Fatih Akin in pausa al LidoUna giornata particolare, forse perché l’ultima di questi dieci giorni veneziani trascorsi fuori e dentro dal cinema. Il risultato è che ho gli occhi gonfi di film, sono pieno zeppo di ustioni visive, di idee confuse, di altro. Il giorno prima si è concluso con due pensieri: uno riferito a Venus Noire, che mi confermava le buone impressioni ma l’insostenibile urgenza di lasciarlo depositare ancora un pò, l’altro riferito a La solitudine dei numeri primi, che mi accentuava le attese. E le speranze.

Tra la notte pensierosa e il film di Costanzo, però, c’è stato in mezzo il film di Emidio Greco, Notizie degli scavi, tratto da un racconto di Franco Lucentini del 1964 e interpretato da Giuseppe Battiston e Ambra Angiolini. Una visione piacevole, riconciliante, pacifica di un film garbato, attento a rappresentare le fragilità di due personaggi che vivono in solitudine senza ridicolizzare la sofferenza umana, mettendo in mostra le sfumature semplici e le complessità dei sentimenti.

Poi è arrivato il momento di Saverio Costanzo che ha trasformato in film il romanzo di Paolo Giordano (che ha curato la sceneggiatura insieme al regista). La premessa di Costanzo la dice lunga sul clima di attesa e speranza che gravitava intorno al film: «In questi giorni mi trovavo a Roma e non si faceva che parlare del mio film. Ho sentito usare aggettivi molto importanti, ma quando ho letto la parola ‘trepidante’ non ne potevo proprio più. Immagino che siate arrivati stamattina alle nove al cinema aspettando di vedere Il Gattopardo e invece avete visto semplicemente un film. Io ci ho provato come ogni regista fa con le sue opere, perciò state attenti con le parole». Ora premetto io. La solitudine dei numeri primi, quarto e ultimo film italiano in Concorso, interpretato da Alba Rohrwacher e Luca Marinelli, è un film che non ha bisogno di giustificazioni di questo tipo perché i film che necessitano giustificazioni (o che si devono scusare, o che devono mettere le mani avanti) sono altri. Questo è un film interessante nella forma cinematografica (che spezza la linearità narrativa del romanzo di Giordano), curato con precisione nella costruzione delle inquadrature (il corridoio qui è un’immagine insistente che ritorna spesso, come nel precedente [ì/italic]In memoria di me), nella sottolineatura di un ritmo e di uno stile personale (la musica invadente, la tensione da horror, i costumi che si alternano, il gioco di specchi e luci), nella direzione degli attori (i quali hanno lavorato profondamente sui propri corpi). Forse il film manca di passione e di emotività, perché resta troppo attaccato a tutta questa ‘organizzazione’, quasi come fosse castrato, imprigionato, poco libero. Ma anche questa potrebbe essere una scelta rigorosa, ricercata per ottenere quello stato di confusione e distacco che i due personaggi hanno indossato tutta la vita sulla propria pelle.

Dopo il film di Costanzo, è successo un fatto piuttosto raro: la Giuria guidata da Quentin Tarantino ha partecipato alla proiezione stampa del film Road to Nowhere di Monte Hellman, uno dei massimi esponenti della New Hollywood, amico di Quentin nonché personaggio determinante per la sua carriera in quanto produttore esecutivo de Le Iene. Il film di Hellman è un trip nel mondo del cinema tinto di giallo. Un film talmente denso di inganni, trappole visive, schermi profondi e doppi sensi di marcia che raccontarne la trama sarebbe un delitto. Appunto. Curioso e complesso.

La Settimana della Critica si è conclusa con Martha, di cui ha già scritto bene Daniele nella sua rubrica. Confermo le buone impressioni, soprattutto sottolineando la crescita costante della tensione della vicenda, con una risoluzione inaspettata. Martha è tra i film migliori di questo concorso collaterale insieme a Angele et Tony e Naomi.

Un po’ debole, seppur ambizioso, Il primo incarico di Giorgia Cecere con Isabella Ragonese, in Controcampo Italiano (concorso vinto da 20 sigarette di Amadei). La vicenda di una giovane maestra nell’Italia degli anni Cinquanta appare troppo abbozzata per riuscire ad intraprendere la strada coraggiosa dell’indagine sociale e la geografia umana che viene ricreata ne resta un po’ schiacciata.

In questa Mostra dove non ho avuto colpi di fulmine (nonostante i ripetuti nubifragi), e dove ho perso due tra dei tre film preferiti dal Mouse d’Oro (Silent Souls e 13 Assassins di Takashi Miike) succede che, proprio oggi, incontro al bar accanto alla Sala Darsena, soli, indisturbati e per niente considerati dalla folla, i “colpi di fulmine” della Mostra dello scorso anno: Samuel Maoz (Leone d’Oro con Lebanon) e Fatih Akin (Premio speciale della Giuria con Soul Kitchen). La foto mi sembrava necessaria e di buon auspicio. Mancano ancora due film: Drei, di Tom Tykwer e Barney’s Version, di Richard J. Lewis. Un po’ malinconico (pensando a quei due film) aspetto e spero.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»