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cultura dell'immagine e della parola

Aspetta e spera
Venezia, 7 settembre

Il nostro inviato al termine della Martone’s MarathonI messaggi di solidarietà sono serviti: ho partecipato (e concluso dignitosamente) alla Martone’s Marathon, duecentoquattro minuti di Noi credevamo, terzo film italiano in Concorso. Temevo lo sceneggiato televisivo, recitazioni teatrali, scene teatrali, duecentoquattro minuti di sofferenza, crampi e fame. A momenti alterni ho avuto tutto questo. Ma il film di Martone è anche riuscito a puntare un po’ più in alto del compitino fatto e finito per la tv (il film racconta il Risorgimento in quattro ‘capitoli’ ma l’ultimo è parso il più convincente anche da un punto di vista cinematografico) dimostrando certamente un impegno non superficiale, una struttura robusta, un’ambizione lodevole e una complessità interessante e, tutto sommato, intuitiva se guardata in direzione del nostro presente. Il film di Martone non è completamente riuscito, certo, ma non si può nascondere una certa onestà e passione. Sulla presenza in Concorso, nutro forti dubbi.

Avrei voluto trascorrere il resto della giornata dal fisioterapista o sul lungomare a correre per scaricare un po’ di frustrazione, ma devo ammettere che il film successivo, Balada triste de trompeta dello spagnolo Alex de la Iglesia è riuscito a scuotermi un po’. La vicenda dei due clown innamorati della stessa trapezista è solo il pretesto per il regista di indirizzare il racconto verso richiami politici e sociali ai tempi del franchismo. Il regista si diverte a mescolare generi, provoca agli estremi e crea, di fatto, un cinema unico e riconoscibile ma decisamente inutile, senza dubbi. Anche qui, perché in Concorso?

Marco Bellocchio con l’interessante esperimento Sorelle mai, realizzato con i corsisti di “Fare cinema” dal 1999 al 2008, racconta la vicenda di Elena e della sua crescita dai 5 ai 13 anni, di sua madre Sara, sorella di Giorgio e dei loro rapporti complicati. Un ritratto familiare intimo e sincero che sembra alternare finzione e realtà, girato tutto in digitale con un tocco di mistero e ottime interpretazioni (Alba Rohrwacher e Donatella Finocchiaro nel cast) che insaporiscono il film.

La Settimana della critica ha proposto il poetico Dad, film sloveno firmato da Vlado Skafar, abile a trasformare il rapporto di un padre e di un figlio alle prese con una giornata particolare in un dialogo in bilico tra onirico e realtà desiderata. Dissolvenza, atmosfera bucolica, silenzi profondi e tanta necessità.

Mancano tre giorni alla conclusione della Mostra e ci sono ancora sei film in Concorso, più tante altre attese (domani è il giorno di Ben Affleck con The Town. A proposito di Affleck, ho perso il film di Casey Affleck, I’m Still Here con Joaquin Phoenix). Nonostante la crisi e nonostante i lavori del nuovo Palazzo del Cinema siano praticamente fermi, sembra che le cose stiano andando bene. Il presidente della Biennale Paolo Baratta, al consueto pranzo di metà Mostra, ha sottolineato: «Nei primi sei giorni sono stati venduti complessivamente 22.505 biglietti con un incremento del 17%». A me sfugge qualcosa. Magari in tre giorni mi chiarirò le idee. Aspetto e spero.

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