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No, la leggenda non continua

No, la leggenda non continua

Per una volta mi pare il caso di ribaltare il ragionamento che di solito sta alla base di questo genere di articoli. Qui non si tratta tanto di chiedersi se il film sarà abbastanza bello da piacere al pubblico. Qui bisogna chiedersi se il pubblico – nella fattispecie la categoria di marketing degli “adolescenti” – sarà così anestetizzato a livello di gusto da poter far trionfare questo film al botteghino nonostante sia, evidentemente, un pessimo prodotto cinematografico. Il problema, nel momento in cui mi trovo a scrivere una recensione di questo reboot di Karate Kid, in fondo, sta tutto nello scarto generazionale che mi separa dal suo pubblico di riferimento, quei ragazzini che oggi hanno giusto qualche anno in più rispetto a quelli che avevo io quando ho visto il primo film della serie.

Giusto per essere chiari: questa pellicola, con quella del 1984, quella con Ralph Macchio e Pat Morita, non ha davvero nulla a che fare. A partire dal fatto che qui si parla di kung fu e non di karate (e va bene che il pubblico medio di queste cose se ne frega, ma perché fare tutto male a partire dal titolo?), per arrivare allo stile e allo spirito stesso del film. Insomma, a essere onesti qui non c’è nulla che funzioni. La storia ricalca quella dell’originale, con la differenza che il protagonista qui si trasferisce in Cina, non in un’altra città americana. Uno spunto anche interessante, non fosse che viene annacquato in una serie di gag fruste e trite che non sto neanche a raccontarvi perché sono talmente moleste in video che se le scrivessi probabilmente vi esploderebbe la testa. Per il resto, solo grandi delusioni: in particolare per quanto riguarda le scene dell’allenamento, che fanno rimpiangere il buon vecchio “dai la cera togli, la cera” e che sfociano inevitabilmente in una prevedibilissima scena sulla Grande Muraglia che arriva crudele come una cartolina da Riccione a fine settembre. Terrificanti anche alcune scelte visive, su tutte quelle che riguardano il torneo finale di arti marziali, rappresentato con una grafica da videogioco piuttosto irritante. Gli attori, d’altra parte, non risollevano le sorti del film. Il povero Jackie Chan ce la mette tutta, ma il suo ruolo è talmente mal scritto da essere insostenibile per qualsiasi attore. La comicità del maestro Miyagi originale (campo in cui Jackie avrebbe potuto farsi valere), qui viene infatti ripresa in modo banale e prevedibile, senza trovate degne di nota e, anzi, con un certo scadimento. Nel capovolgimento drammatico, invece, semplicemente Chan non vale Pat Morita. A fare peggio, comunque, ci pensa Jaden Smith. Ora, so benissimo che ovunque leggerete che è un fenomeno. Beh, non è vero: ve lo dicono perché è il figlio di Will Smith, che è ricco, potentissimo ed è pure tra i produttori del film. Il piccolo Jaden in realtà è insopportabile nel suo essere tronfio e gigione già a dodici anni (ce l’ha scritto in faccia “sono il figlio di Will Smith, quindi sono figo”). Per quanto mi riguarda, non ho potuto fare a meno di tifare fin dall’inizio per il bullo cinese che vuole gonfiargli la faccia. Non credo sia un buon segno.

A conti fatti, può anche essere che il film piaccia. Come dicevo, il pubblico di riferimento è quello dei ragazzini di oggi, e non è detto che loro abbiano buon gusto. Poverini, se non ce l’hanno, magari non è neanche colpa loro. Noi abbiamo avuto I Goonies, Ritorno al futuro e Navigator, loro Twilight e High School Musical: buttargli la croce addosso sarebbe scorretto. C’è anche da dire che, tra mille difetti, al film quantomeno non manca il ritmo. In perfetta sintonia con i tempi, infatti, risulta brutto, ma non noioso. E per quanto non ci sia nulla di godibile, le sue due ore e venti passano relativamente in fretta, segno che il regista sapeva quello che faceva (e sapeva anche che era brutto, ma era comunque convinto di cavarci dei soldi). Il mio consiglio, dunque, è rivolto a voi che avete passato i vent’anni: lasciate perdere. Lasciate perdere anche se ve lo chiede il vostro fratello minore, un nipotino o il bimbo cui voi o la vostra ragazza fate da baby sitter. Lasciate perdere. Fatelo per voi. E anche per lui, in prospettiva futura.

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