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cultura dell'immagine e della parola

Aspetta e spera
Venezia, 2 settembre

In un film visto oggi (bello, hanno detto che uscirà in dvd, quindi recuperatelo, è Notte italiana di Mazzacurati del 1987) Marco Messeri dice una battuta che più o meno è così: «Quando aspetto, spero. Non penso». Non si tratta certo di una massima filosofica, ma, forse, potrebbe entrare di diritto nell’enciclopedia del senso pratico. O almeno del senso pratico della Mostra, perché qui, questa battuta, assume un significato ben preciso.

Norwegian Wood del tailandese Tran Ahn Hung, già Leone d’Oro con Cyclo, si conferma per quello che era atteso: un intenso racconto di formazione, a forti tinte melodrammatiche e tensioni da tragedia greca. Se ci si aggiungono riprese mozzafiato, una colonna sonora strimpellante anni Sessanta (Beatles e Bon Dylan tra gli altri), paesaggi emotivi e la trasposizione del romanzo cult di Haruki Muratami, ne esce certamente un film ben fatto, emozionante e cinematograficamente accattivante. Certo, c’è poco da ridere, ma questo che c’entra?
L’attesa per Miral era considerevole. Tanto per il duetto Freida Pinto – Hiam Abbas quanto per Schnabel (più il primo che il secondo). Eppure, né uno, né l’altro motivo sono riusciti a mantenere il film sui livelli sperati. Miral, dopo un incipit curioso e avvincente, si è trasformato progressivamente nel racconto cronachistico dei fatti che hanno visto e vedono protagonisti Israele e Palestina. L’intento di Schnabel era quello di spostare il punto di vista dalla parte dei palestinesi. Certamente c’è riuscito, ma senza privilegiare la passione, senza adottare nessuna scelta coraggiosa, abbandonandosi completamente all’uso della parola. Del cinema fatto dalle immagini, dalle evocazioni, dalle suggestioni, purtroppo, qui c’è poco e il sapore è quello di un compitino ben svolto, pulito, semplice senza troppo sfumature e complessità.

Happy Few di Antony Cordier certamente prova a giocarsi tutto sulle complessità e le sfumature, ma anche in questo caso, il peso specifico del film è controllato dalle parole troppo invadenti e dannatamente esaustive. Il gioco erotico delle due coppie non nasconde nulla di affascinante o romantico o minimamente significativo e la forma cinematografica segue questa direzione. In fatto di coerenza, quindi, tanto di cappello.
Carlo Mazzacurati è un regista intelligente che crea un cinema interessante, o viceversa. La Settimana della Critica, giunta alla 25° edizione, lo ha voluto celebrare proiettando il suo film d’esordio, Notte italiana del 1987. Una vera chicca del cinema italiano anni ottanta, decisamente attuale e potente, capace di colpire profondamente la natura della corruttibilità umana. E a proposito di italiani, Antonio Capuano con il suo ultimo film L’amore buio (ma il titolo poteva essere più incalzante), sceglie di raccontare con sguardo semplice e onesto la storia di Ciro, finito in carcere insieme ai suoi compari per aver violentato Irene. Un film interessante, con qualche sbavatura, ma con una sua originalità narrativa ed estetica. L’attesa è emozionante, ma a volte si schianta con la realtà e ti lascia solo l’amaro in bocca. Un po’ come quando, con grande rammarico mi sono accorto che in sala stampa non distribuivano più bottigliette d’acqua ma soltanto bicchierini da un umile distributore. Aspetto e spero. Magari il fornitore è in ritardo!

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