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L’altra Venezia: Guerin e Tscherkassky

Un fotogramma tratto da GuestMentre i film ufficiali in concorso continuano a non convincere, la sezione Orizzonti guarda (come da nome) davanti a sé e continua a sfornare opere notevoli, delicate ed innovative.

Il vero protagonista oggi è stato il regista catalano José Luis Guerin, già autore di En la ciudad de Sylvia e profondo esteta del genere documentarista (il suo stile è in realtà un ibrido piacevolissimo fra doc e fiction, capace di racchiudere come pochi una vera tendenza al neorealismo più sperimentale). Proprio questo suo precedente film, presentato in vari Festival intorno al mondo, è stato lo spunto per partorire il ultimo lavoro, presentato oggi, Guest, che riprende nell’arco di un anno (settembre 2007 – settembre 2008) tutte le tappe internazionali dove il regista ha fatto visita. E dove proprio il Festival di Venezia è la meta di partenza e anche quella di arrivo. In mezzo ci sono gli Stati Uniti, il Cile, il Brasile, Macao, Cuba, le Filippine, l’Ecuador e il Perù. Una vera e propria odissea nel folklore popolare dell’America Latina e dell’Asia (la tappa di New York è solo un abbozzo), dove non c’è nessuna linea narrativa preimpostata, ma una libertà di visuale anarchica, capace di caratterizzare ogni luogo con visi, personaggi ed aspirazioni differenti. Uno sguardo quindi completamente auto-escluso dall’emergenzialismo classico del genere documentaristico, che invece è solito rincorre la cronaca (nera, rosa o politica). Se c’è una costante è la scenografia apocalittica nella quale insiste l’occhio del regista, riprendendo nelle strade e nella piazze della città sudamericane, predicatori catastrofisti che profetizzano una fine del mondo ormai alle porte. Per il resto Guerin – come da titolo – si lascia semplicemente “ospitare” in un viaggio filmico (girato in un intimissimo bianco e nero digitale) di ben 133′, accarezzato solo ogni tanto dalle note di un Free Jazz in cui è racchiuso l’intero spirito nomadistico dell’opera. Con la sua estetica d’autore (quasi da Rosselini), Guest è senza dubbio la miglior opera di cinema che fino adesso si è vista in questo 67simo Festival veneziano.

Per la sezione Orizzonti era molto atteso Coming Attractions, anche l’ultimo lavoro dell’austriaco Peter Tscherkassky, maestro indiscusso del Found Footage, e autore quasi venerato dagli amanti del genere. E se in Outer Space e Dream Work, Tscherkassky manipolava le scene del film horror L’influenza (di Sidney J. Furie), stavolta l’inquietudine della sua narrazione filmica trova visceralità usufruendo di vecchi spot pubblicitari anni Cinquanta destinati al macero e salvati dallo stesso regista. E’ con questo materiale rarissimo che Tscherkassky taglia, incolla e sovrappone fotogrammi indecifrabili, mantenendo sempre un loop “seriale” e infilando riferimenti visuali a Méliès, Lumières, Cocteau e Léger. In questo senso è davvero impressionante l’uso di tecniche usate dall’autore, come la solarizzazione, la stampa ottica e le esposizioni multiple. Curiosità: nei fotogrammi iniziali si intravede anche la scena più famosa di Taxi Driver, mentre la chicca finale del mediometraggio (già pre-annunciata alla vigilia), si è scoperta come un’omaggio a Pier Paolo Pasolini: è proprio una scena con Ninetto Davoli che Tscherkassky inserisce nel montaggio, doverosamente tagliuzzata e affiancata a una pubblicità di trattori.

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