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Cineasta del presente

Cineasta del presente

Qualunque cosa pensiate del cinema italiano, non lasciatevi scappare la possibilità di vedere Pietro. Un film urgente, viscerale, maledettamente triste, l’unica opera nostrana in grado di parlare dell’oggi, raccontando l’oggi. Da molto tempo il nostro cinema d’autore evita di mostrarci la contemporaneità: Diritti, Virzì, Bellocchio nei loro ultimi, ottimi, film hanno raccontato un Italia del passato, ricercando le motivazioni di quello che siamo diventati, ma Gaglianone no. Lui va dritto al punto, mostrandoci quello che siamo ora, senza sconti, e sbattendocelo in faccia come fosse una bastonata. Addirittura andando oltre, perché Pietro sarà contemporaneo anche tra trent’anni, nel suo essere così slegatamente legato alla realtà.

Per riuscire nell’intento, Gaglianone ce l’ha messa tutta e ha dovuto affrontare molte difficoltà: nessuno voleva produrre il film. «I no arrivano alla terza parola dell’esposizione del progetto» ha raccontato, facendosi sopraffare dall’emozione, in conferenza stampa a Locarno, dove il film era in concorso. Un film che sembrava non interessare a nessuno, poi per fortuna il produttore indipendente Arcopinto ha raccolto la sfida. Una sfida vinta: a Locarno il film è stato accolto con un applauso di oltre dieci minuti da parte del pubblico, con grande gioia anche degli addetti ai lavori. Infatti Pietro convince su tutta la linea: nonostante un eccesso di cupezza, che forse non avremmo gradito in un’opera dei fratelli Dardenne, ogni elemento è il veicolo necessario per raccontare la violenza verbale, e non solo, di oggi. Gaglianone pedina Pietro, osserva il suo mondo periferico e depresso, incontra con lui tutti gli invisibili poveracci che costellano il suo mondo. Nonostante racconti di una vita ai margini, ci mette nella condizione di riconoscere noi stessi: la perfidia sotterranea del collega di scrivania, del vicino di casa, degli automobilisti in coda, dei concorrenti dei reality, quella stessa rivalsa egoista che ci pervade quando incontriamo un emarginato diverso da noi. Pietro attraversa la vita, le strade, le stazioni della metropolitana e, come Michele Strogoff di cui legge il racconto, a volte vede e a volte non vede. Però sente, e noi con lui. Può accadere subito o meno, ma è impossibile non identificarsi totalmente in Pietro e, quando questo accade siamo costretti a sopportare e sopravvivere, anche quando nessuno ci ascolta o ci degna di attenzione, tranne quando è arrivato il momento di ridere di noi, e non con noi. Se Pietro dovesse scoppiare, potremmo dargli torto? E noi cosa avremmo fatto al suo posto?

Questo interessa a Gaglianone: farci interrogare su noi stessi e sugli “strani tempi” che stiamo vivendo. Un’esigenza sentita, forte, urlata, commossa. Una richiesta d’aiuto inviata a ciascuno di noi affinché possiamo interrogarci sulla necessità di trovare una comunicazione più pacata e bilaterale con noi stesi e con gli altri. In questo senso un film anche politico, ma non politicizzato, attraverso il quale – grazie all’aiuto delle incredibili e trascinanti interpretazioni di Pietro Casella, Francesco Lattarulo e Fabrizio Nicastro, di una Torino complice e matrigna, di un montaggio sorprendente, di un lavoro sul sonoro che dire incredibile è poco – Gaglianone dà alla luce il nipote diretto del neorealismo, della commedia all’italiana, dei Dardenne e di Zavoli. Un film necessario e da non perdere.

Curiosità
Dopo un paio di mesi di prove con il cast, Pietro è stato girato in 12 giorni e finito dopo una postproduzione di circa un mese. Si spera che il buon passaparola possa aiutare la tenuta in sala almeno per ricompensare i sacrifici fatti per la sua realizzazione: maestranze e attori hanno rinunciato al compenso pur di portare a termine il film, abbassando il budget dai circa 300 mila euro a una spesa effettiva di 120 mila. A proposito, il trio protagonista non è stato preso dalla strada, ma lavora da anni tra teatro e cabaret e ha formato un gruppo comico dal nome “pausa d’oppio”. Vedere per credere: www.myspace.com/sensodoppio3.

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