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Fra morte e resurrezione

Fra morte e resurrezione

E’ nella post-visione di The Road, nel rientro traumatico dal sogno (o dall’incubo) al mondo reale che forse riusciamo a intuire il motivo (fino allora misterioso) per cui il pubblico americano (cresciuto ormai a pane e film “catastrofisti”) ha disertato la visione del film nelle sale statunitensi. La trasposizione cinematografica dell’omonimo libro scritto da Cormac McCarthy (vincitore del Pulitzer nel 2007), non ha niente a che vedere con le visioni del filone apocalittico, né tantomeno con l’istantanea e caotica reazione alla catastrofe ultima (28 giorni dopo). Invece, parallelamente alla narrazione letteraria, in The Road il mondo è già finito da un pezzo, sepolto sotto una cenere eterea tanto rarefatta quanto desolata. L’umanità stessa si è autodistrutta e fra i sopravvissuti non ci sono eroi e zombie alla Romero: chi vaga per le strade sono invece uomini, nel loro significato più antropologico e naturale del termine. Chi vuole sopravvivere deve sostituire alla propria evoluzione sociale degli spietati istinti animaleschi. Una vera e propria legge della giungla, una sorta di Cannibal Holocaust collettivo e generalizzato.

Fin troppo reale e privo di alibi dunque il futuro abbozzato da McCarthy nel libro (e da John Hillcoat nel film) e totalmente incapace – per fortuna – di ricalcare le scene sdrammatizzanti (quasi consolanti) del genere catastrofista così di successo in questi ultimi anni. Al contrario The Road appare sociologicamente attuale nella sua visione di un’umanità allo sbando, costretta a uccidere i suoi simili per nutrirsi: in una continua abnegazione dei sentimenti (su tutti la fiducia nel prossimo) e delle passioni (il sacrificio della donna amata, ma anche quello più materiale di un pianoforte bruciato per riscaldarsi dal freddo). In questo senso il film di Hillcoat non consola affatto, anzi: è un futuro che parla al presente e rassomiglia molto all’hanekiano Il tempo dei lupi, cioè a uno studio del comportamento umano nell’ipotesi più nefasta; una vera e propria metafora che, disarticolando le convenzioni sociali è capace di affrontare a viso scoperto il nichilismo più devastante dell’animale uomo. E se è innegabile che il maggior merito di Hillcoat (attesissimo dopo il suo esordio nel 2005 con La proposta) è quello di scegliere uno stile distaccato, non possiamo non notare come il regista sappia ritmare con precisione i tempi di un vero road-western-movie, alternando momenti didascalici con decise immersioni nella suspense più pura. Riesce anche a spaventare, Hillcoat, pur non mostrando mai il delitto, dilatando lo spazio immaginario indispensabile per inquietarci a dovere e costringendoci a riflettere l’orrore, quasi come specchi inconsapevoli della disumanità narrata dal film. Ma soprattutto, a parte un piccolo abuso di flashback, The Road sa essere completamente fedele al romanzo anche nella costruzione dei dialoghi (ugualmente ma con più fortuna hanno fatto i fratelli Coen per Non è un paese per vecchi, tratto da un altro romanzo di Cormac McCarthy) e nella stessa caratterizzazione dei personaggi, grazie anche al realismo tenace e commovente di Viggo Mortensen e all’assoluta rivelazione del piccolo Kodi Smit-McPhee.

E proprio come nell’eterna (e bellissima) cupezza del libro di McCarthy, sono le battute finali a sfiorare la vetta più alta nell’opera di Hillcoat: ovvero quando la fantascienza evade dalla sua cella onirica verso un lirismo intimista che esplode in quanto collettivo ed universale. E’ qui che riconosciamo finalmente McCarthy (fino allora con la maschera di Michel Houellebecq), l’America, la frontiera, la famiglia, l’Uomo. Perfino la speranza che “il fuoco” dentro il bambino possa trovare, lungo la strada, nuova legna da bruciare. E’ qui, dunque, che riconosciamo anche noi stessi. Ma forse troppo tardi per non liberare le lacrime.

Curiosità
Proprio per il suo carattere fortemente cupo e desolante The Road era stato definito “troppo deprimente” per essere distribuito nella sale italiane. Il film è rimasto senza distribuzione italiana per quasi un anno, finche la Videa-CDE ne ha acquistato i diritti all’ultimo Festival di Berlino.

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