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Giovani vichinghi crescono

Giovani vichinghi crescono

Nel film disneyano La spada nella roccia, il giovane Artù era rappresentato come un ragazzino debole e sfortunato che, grazie all’aiuto di Merlino e al destino, riusciva a diventare re. L’Artù della Disney può essere considerato il capostipite di una lunga serie di eroi, protagonisti di film destinati soprattutto a bambini e adolescenti, che di eroico non hanno (apparentemente) proprio nulla; attori principali di storie “americane” dove, pur essendo uno sfigato cronico, il protagonista può aspirare ai suoi minuti di gloria di warholiana memoria. Il protagonista dell’ultimo film della Dreamworks, casa concorrente alla Disney, appartiene proprio a questa schiera di “non eroi” che la Disney stessa ha lanciato sugli schermi: debole in una comunità di forzuti vichinghi, fabbro in un paese di guerrieri, amico dei draghi in un villaggio di ammazza draghi, Hiccup è l’antisistema per eccellenza, un giovane che sbaglia nel momento in cui cerca di fare come gli altri e trionfa, invece, quando decide di fare a modo suo, seguendo le proprie inclinazioni e idee. Il fallimento non è qualcosa di connaturato a questi personaggi, come inizialmente gli antipatici di turno lasciano credere, bensì indotto da un contesto che ambisce alla totale omologazione; dal loro fallimento, il contesto in cui vivono questi “non eroi” può addirittura uscirne completamente trasformato, e così accade al villaggio di Hiccup, che proprio grazie al giovane comprende come la convivenza con i draghi sia possibile e addirittura felice.

Al di là della non assoluta originalità della storia e del predicozzo moralista sempre in agguato, Dragon Trainer lancia al suo giovane pubblico due messaggi significativi: per prima cosa che il diverso, sia esso un adolescente un po’ imbranato o un drago, è oggetto di preconcetti che impediscono di vederne la reale ricchezza e bellezza, per seconda che solo seguendo il proprio cuore si può raggiungere la felicità. A differenza di molte altre opere afferenti a questo genere, però, l’ultimo film della Dreamworks ci mostra che la felicità ha comunque un prezzo da pagare e che bisogna inevitabilmente sacrificare una parte di se stessi. Se questo sacrificio permette di far pace con il proprio padre, conquistare la fanciulla amata e riportare la pace nel villaggio, ebbene, si tratta di un prezzo che, tutto sommato, si può sostenere.

Due parole, infine, sulla controparte femminile di Hiccup, in questo caso la giovane, forte e coraggiosa Astrid che, a differenza della sua nemesi maschile, sembrerebbe destinata ad un futuro di eroiche imprese. La ragazza è decisa, tiene al posto loro i suoi corteggiatori e sarà per il protagonista, dopo il solito, iniziale momento di totale antipatia, di grande aiuto nel corso dell’impresa finale. Se gli eroi adolescenziali sono sempre più spesso nerd all’ennesima potenza, le eroine che a loro si accompagnano sono personaggi con una forza interiore (e, come in questo caso, pure fisica) che sovrasta e schiaccia quella dell’inetto protagonista. Almeno apparentemente. In realtà, questa schiera di paladine dell’uguaglianza tra i sessi riescono ad essere insopportabilmente antipatiche quanto le loro colleghe più civettuole e vanesie: le seconde, almeno, non ci illudono che sia possibile fornire ai ragazzi e alle ragazze un modello femminile davvero forte. Il problema è che queste ragazze sono forti nel senso maschile del termine, nel momento in cui si impadroniscono del modello maschile di forza. Un modello femminile di forza, a quanto pare, è ancora ben lungi dall’essere codificato e per una ragazzina i termini della scelta sono ancora ridotti a due: fiocchetti colorati o ascia bipenne.

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