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Il triangolo no, non l’avevo considerato

Il triangolo no, non l'avevo considerato

Nancy Meyers torna con un’altra raffinata romantic comedy al femminile, rispolverando attori feticcio degli anni Ottanta ormai persi nel dimenticatoio – parliamo di Alec Baldwin e di Steve Martin – a cui qui dà l’occasione di rimettersi davvero in gioco (come, del resto, aveva già fatto con Diane Keaton in Tutto può succedere, del 2003). Carta vincente della commedia è la sempre spontaneamente straordinaria Meryl Streep, emblema di tutte le donne di mezza età in cerca di una rinascita emotiva e sessuale. Una garanzia di successo, insomma, presso il target del gentil sesso. Gli stratagemmi messi in campo dalla Meyers, regista e sceneggiatrice, rispettano le regole del genere, ma funzionano sempre, pur senza fornire nulla di significativamente innovativo. Le gag comiche stile commedia degli equivoci abbondano a dismisura e fanno tanto più ridere, quanto più la recitazione si fa impeccabile nella sua naturalezza – vedi, tra le altre, anche quella del genero di Meryl, interpretato da John Krasinski. I personaggi principali sono fortemente caratterizzati e ciascuno possiede un gap comico che lo rende più simpatico e umano in un tempo.

Dal punto di vista formale, si assiste ad un editing che offre sostegno ad una struttura narrativa dotata di un intreccio dinamico, costituito da episodi/siparietti che si incastrano l’uno nell’altro senza evidente legame temporale, ma piuttosto di causa-effetto. Il racconto gira intorno a tre nuclei narrativi: da una parte quello principale, inerente alle vicende della protagonista, una serena e ingegnosa donna divorziata ormai da anni, con tre figli ormai adulti che vivono fuori casa, bisognosa di rimettersi in gioco sul piano sentimentale; dall’altra quello riguardante un focoso ex-marito, sposato con una donna molto più giovane di lui, che sta, però, iniziando a soffocarlo con il suo nervosismo associato al progetto di fare un figlio che però non ne vuole sapere di arrivare; per ultimo, il nucleo narrativo minore, che ruota intorno a un gentile architetto, fresco di divorzio da una moglie che lo ha abbandonato per il suo migliore amico. Incrociate i tre nuclei nel migliore dei modi e avrete la trama del film, con l’ex-marito che tradisce la giovane moglie con la “vecchia”, diventando per quest’ultima un “ex-friend with benefits”; una ex-moglie che si prende una bella rivincita sulla bella e insopportabile ragazza con cui l’ex le ha fatto le corna a suo tempo, diventando “l’altra donna”, l’amante, cioè, di un uomo sposato; infine un uomo sensibile che cerca una relazione sincera e adulta con una donna della sua età, per riscattarsi da un matrimonio fallito per la vacuità dei sentimenti della moglie. Chi sarà il vincitore? L’amante ansioso di sfogare le sue voglie – sessuali e paterne – per mettere a tacere il suo senso di colpa o il fante di cuori che si fa avanti silenzioso e con poche pretese e che è qualcosa di più di una semplice minestra ribollita? La scelta sarà ardua e non potrà che rivelarsi definitiva solo nell’ultima scena.

E viene la volta dei soliti cliché delle commedie della Meyers! Fortunatamente guastano solo in minima parte l’intero lungometraggio. Sono evidenti nella colonna sonora e negli establishing shots – scorrendo i titoli di testa, con le riprese aeree della California, alleggerite da una melodia spiritosa e mollemente ritmata, non sembra forse di rivedere L’amore non va in vacanza (The Holiday, 2006)? E la compagnia scelta di amiche alto borghesi con cui scambiare le solite quattro chiacchiere, arricchite da pettegolezzi e argomenti piccanti, non ricordano il classico coro che ribadisce quanto detto dalla protagonista e le dà sostegno e la stimola a fare nuove esperienze? Per non parlare della centralità della casa (e che casa!), che qui, ristrutturata finalmente secondo i gusti personali della padrona, funge di nuovo da metafora di cambiamento e rinascita (vedi l’house swapping del suddetto film del 2003, che fornisce il pretesto perché tutta la storia venga narrata). Per ultimo, come non citare l’abituale perdita di controllo a cui vanno soggette le donne delle commedie della Meyers? (Per altro ottenuta qui in modo esilarante al party prematrimoniale della figlia, fumando lo spinello che l’ex-marito tentatore aveva lasciato per futuri incontri a porte chiuse). Non val la pena, però, domandarsi troppo. Godetevi le formidabili interpretazioni di attori veterani del grande schermo che, nelle parti loro assegnate, mettono a nudo la loro umanità e una professionalità senza limiti di sorta. E se masticate un po’ di inglese, lasciate perdere il doppiaggio italiano e buttatevi a capofitto nella versione originale. Ne vale la pena.

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