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Il più indecente e infame dei padri

Il più indecente e infame dei padri

Scegliere Christian De Sica nel ruolo di protagonista del suo ultimo film è stata, da parte di Pupi Avati, una vera e propria sfida. Non è, questa, la prima occasione di collaborazione tra i due: già nel 1976 la scelta era ricaduta su di lui per interpretare il ruolo di Ugolino in Bordella. Ma sul finire degli anni Settanta il nome dell’attore romano non era ancora indissolubilmente associato alle commediacce dei Vanzina o di Neri Parenti e il suo volto non aveva ancora prestato le sue fattezze per dar vita a una infinita carrellata di personaggi maschili insulsi, sempre uguali nel loro essere dei furbastri infedeli, campioni della battutaccia rozza e volgare. Dopo anni di fedele servizio alla solita minestra riscaldata, sia in estate che a Natale, per la stragrande maggioranza del pubblico italiano Christian De Sica è diventato una sorta di icona dei cine-panettoni, tanto da rendere difficile immaginarselo in un altro ruolo; proprio questa è stata la sfida di Pupi Avati, ovvero dimostrare le grandi capacità di De Sica come attore drammatico. Una sfida che entrambi sono riusciti a vincere, cosa davvero degna di nota considerando che si tratta di una vittoria avvenuta senza rivoluzioni. Il personaggio di Luciano Baietti, infatti, è un lontano parente dei tanti “furbetti” interpretati sin’ora dall’attore romano. Ma Pupi Avati, pur evitando volutamente di fare il critico della società odierna, rifiuta qualsiasi trasfigurazione comica di questi vizi, che rimangono tali anche quando la situazione invoglia al riso. Perché non vi è risata che faccia dimenticare la meschinità di un uomo come Luciano, una meschinità che l’imperante cultura di oggi, in Italia, spesso ha voluto rappresentare come se fosse una virtù.

Il cinema italiano riscopre (o sarebbe meglio dire scopre) finalmente un attore che per anni è stato legato a film che pretendono di farci ridere dell’Italia più maleducata e cafona, e Christian De Sica può infine permettersi di rivelare cosa c’è dietro le risate sguaiate e le battute volgari, mostrandone tutto lo squallore. Luciano Baietti, infatti, è un imprenditore consapevole della sua bassezza morale, che egli sfrutta per ottenere ciò che vuole. Le rughe del suo viso denunciano la stanchezza di una vita che deve i suoi successi ai ricatti e agli inganni, una vita che egli, però, non riesce a condurre diversamente. I momenti di maggiore comicità del film corrispondono, paradossalmente, a quelli in cui l’imprenditore si macchia delle peggiori infamie, contro sua moglie, a cui toglie tutto e poi abbandona, e contro il suo figlio più piccolo, Baldo, che egli vuole incontrare solo per salvare il suo impero di carta da un crollo inevitabile. In questo è aiutato dal suo braccio destro, il dottor Bollino, un bravissimo Luca Zingaretti, che spesso ruba la scena a Christian De Sica, rivelandosi come uno dei personaggi dalla più spiccata personalità. Con loro vanno ricordati anche Laura Morante, perfetta nella parte della prima moglie di Luciano, romanticamente, perennemente, assurdamente innamorata di lui a distanza di anni; e Nicola Nocella, il più giovane dei figli di Baietti, aspirante regista di film horror, ragazzo ingenuo e sensibile. Proprio queste due figure di “perdenti”, di inguaribili idealisti, avranno ragione sulla meschinità di quell’uomo che li aveva abbandonati e, come avevano predetto, proprio quell’uomo riaccoglieranno, come marito e padre, nella loro casa.

Vi è, in questo ritorno, una vera e propria rivincita da parte di quella famiglia che, nelle scene iniziali del film, salutava una macchina che partiva, le loro voci coperte dal suono della radio; da parte di quella famiglia che aveva perso tutto per le ambizioni di un uomo e che diventa tutto ciò che rimane a quell’uomo. Forse un marito e un padre indecente e infame, come lo stesso regista ha affermato, ma chissà che non sia proprio questo l’unico ruolo in cui un uomo come Luciano può aspirare a non fallire.

Curiosità
Dopo La cena per farli conoscere, del 2007, e Il papà di Giovanna, del 2008, questo è il terzo film in cui Avati assegna il ruolo di protagonista ad una figura paterna.

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