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L’anima drammatica del documentario

L'anima drammatica del documentario

La moglie del carcerato di Raffaele Elia

È una Genova vista dal basso quella nel nuovo documentario drammatico di Pietro Marcello, già apprezzato e premiato autore del Passaggio della linea (2007). Frammenti della memoria personale e collettiva si perdono in una intrigante sovrapposizione di voci e immagini dall’immediato effetto ipnotico. Scorci notturni e misteriosi della città vecchia, vicoli bui e volti pasoliniani si alternano a filmati di repertorio in un montaggio suggestivo ed estraniante. Un romantico noir di strada nel quale i luoghi del passato incontrano i desideri del presente, mentre un rude eroe che somiglia a Paolo Conte recita fuori campo versi forse rubati a De Andrè. Dalla suggestione si passa alla tenerezza quando Mary, “la moglie del carcerato” in omaggio a un’altra pellicola su amori non convenzionali (La moglie del soldato – The Crying Game, Neil Jordan, 1992), racconta davanti alla macchina da presa, con disarmante semplicità, i segreti del loro amore. Una docufiction su un “amore diverso”, sorprendentemente voluta e finanziata dai gesuiti, dall’epilogo incredibilmente domestico in una casa sulla collina con camino, vista sul porto e tre cagnolini.

Surreale documentario neorealista di Daniele Lombardi

La bocca del lupo è un documentario che attraversa l’Italia, la città di Genova e una favola maledetta ma a lieto fine. Come una storia che sembra quasi essere uscita fuori da una canzone – mai stata scritta – di Fabrizio De André: con tutta una sua “goccia di splendore”, che non è nè lacrima di commozione né di pietà, ma è più la schiuma di un’onda che si frantuma sugli scogli, arrivando alla liberazione da una condanna che la imprigionava al mare. Lo stesso mare novecentesco “dove iniziano le avventure”, belle e brutte, della vita degli uomini.

Enzo e Mary sono due personaggi straordinari nei gesti e nei volti, nelle dolcezze e nelle fragilità; perfino nei modi burberi di apostrofarsi con insulti per poi chiamarsi “amore”. Straordinari nella loro stessa vita, che ha reso i loro sogni una realtà, non come naufragio ma come attracco finale, pace e beatificazione suprema. Osservandoli sullo schermo non si sfiora solo la storia del cinema, ma quella di un’Italia scomparsa con il secolo scorso, e che riusciamo soltanto a intravedere nella splendida opera di Marcello, intervallata da immagini di repertorio – potentissime – di una Genova novecentesca, fra fonderie operaie e carruggi quasi mistici. Come conclude la citazione di Fortini: “è successo…” E probabilmente, ce ne convinciamo presto, non potrebbe succedere adesso, non certo nell’epoca della disillusione sentimentale e della “life in plastic” che domina la società in cui viviamo oggi. E’ allora che la nostalgia per un secolo – forse troppo presto gettato alle nostre spalle – ci devasta dentro più di ogni altra cosa, appena dopo la tenerezza fatta risata che la coppia protagonista riesce a trasmettere nell’intervista finale.

Il documentario è insomma un brillante esempio di come il nostro cinema riesca a toccare vette inarrivabili (e inascoltabili da altri) attraverso la trasfigurazione semplice ma estremamente poetica di una storia d’amore tanto surreale quanto neorealista, che riesce a dipingere la salvezza come una miseria e, viceversa, la miseria come una salvezza.

Curiosità
La bocca del lupo ha vinto il premio come Miglior Film ed il Mouse d’Oro al Torino Film Festival 2009 e, prima volta per un’opera italiana, il Teddy Award e il premio Caligari al Festival di Berlino 2010. Il film è stato cofinanziato dalla Onlus “San Marcellino” dedita all’accoglienza di persone senza dimora e all’attivazione di percorsi di riabilitazione.

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