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Sotto quel cielo
Berlino, giorno 3

Martin Scorsese durante la conferenza stampa di Shutter IslandSabato intenso qui alla Berlinale con l’arrivo dell’attesissimo di Martin Scorsese insieme a tutto il cast di Shutter Island, da Leonardo Di Caprio a Ben Kingsley, da Michelle Williams a Mark Ruffalo. Partiamo dal film: Scorsese innanzitutto non ha bisogno di critiche, quello che fa e che ha fatto è sempre stato di ottima fattura e di alto livello, e lo è assolutamente anche questo suo ultimo lavoro. Anche se un po’ lunga (troppe forse 2 ore 20), la pellicola ha comunque raccolto notevoli riscontri alla fine della proiezione stampa, segno tangibile di un apprezzamento globale e importante. Shutter Island, che è già stato presentato a Roma qualche giorno fa, nasce in primis grazie all’ispirazione geniale di Dennis Lehane, capace già di stupirci con un racconto bellissimo come Mystic River, che poi Clint Eastwood e Sean Penn hanno consacrato con un lavoro perfetto. Qui però l’atmosfera cambia completamente, ci immergiamo infatti negli anni Cinquanta, in una America che deve convivere con la difficile situazione della Guerra Fredda, che deve fare i conti con la Seconda Guerra Mondiale da poco alle spalle.

Ma i protagonisti sono volutamenti isolati da tutto quello che sta succedendo. Di Caprio è Teddy Daniels, un agente federale che, insieme al suo collega Chuck (Ruffalo), viene infatti spedito su un’isola del Massachusetts, dove ha sede un imponente e sorvegliatissimo manicomio criminale, per indagare sulla scomparsa di una delle pazienti. La struttura, che ha in Ben Kinsley uno dei suoi responsabili più importanti, nasconde però segreti e misteri davvero incomprensibili. Un uragano blocca i due agenti sull’isola proprio nel bel mezzo dell’indagine, tanto da permettere ai due agenti, in particolare a Di Caprio, di svolgere approfondimenti più serrati su quello che sta realmente succedendo. La realtà sarà però ben diversa. Di Caprio ha incubi e allucinazione ricorrenti, non riesce più a distinguere cosa stia veramente accadendo e soprattutto a chi. Un risveglio però ci sarà. E sicuramente non mancherà di sorprendere chi guarderà il film.

Cast tecnico come al solito di prestigio quello che Scorsese ha chiamato con sè, intanto Di Caprio (quarto film insieme) che davvero dà un’altra grande prova di attore drammatico. Con Scorsese si è davvero riscoperto e reinventato, ed è un vero peccato che la pellicola sia slittata agli imminenti Oscar, poiché avrebbe sicuramente potuto concorrere senza problemi per il miglior attore, cosa che potrebbe succedere l’anno prossimo. Dopo parecchi buoni tentativi una statuetta sarebbe meritata. Bravi anche gli altri attori, l’”onnipresente” Dante Ferretti e ovviamente Scorsese che dirige magistralmente e senza pecche. La pellicola passa però fuori dalla competizione, chissà perché… Stranezze della direzione.

Ma la mattina si era aperta con il convincente film rumeno in concorso, If I Want To Whistle, I Whistle del regista Florian Şerban. Una storia nella sua interezza molto semplice ma di grande emozione. Un diciottenne, Silviu, sta finendo di scontare la sua pena in un carcere di periferia. Una madre assente, un fratellino che invece c’è e lo va a trovare. Un giorno però la madre si rifà viva, con l’intento di partire e portarsi via il fratello di Silviu. Contemporaneamente all’ansia e all’impossibilità di reagire di fronte a questo episodio, Silviu vive anche l’innamoramento di una coetanea, un’assistente sociale di cui rimane folgorato. Ma la rabbia è troppa, il carcere non aiuta, i compagni neanche, tanto che un giorno Silviu prendere in un ostaggio la ragazza e chiedere di parlare con la madre. Il finale non è la resa, ma forse una liberazione. Bravo l’attore protagonista, il giovane esordiente George Piştereanu, ma merito va dato anche al regista per aver creduto in una storia per nulla banale. È quel cinema che ti sa colpire con poco.

Pomeriggio di nuovo all’insegna dell’Italia con l’ultimo lavoro di Ferzan Ozpetek, Mine vaganti, presentato nella sezione Panorama. Lo sfondo è la Puglia un po’ bigotta, i protagonisti una famiglia di pastai. Tutto sembra filare liscio, fino a quando uno dei figli, Tommaso (Riccardo Scamarcio), da tempo a Roma, torna al paese, confessando a tutti di essere omosessuale. Da qui la storia inizia a virare, sempre mantenendo la leggerezza e l’ironia “ozpeketiana”, oramai diventata marchio di fabbrica per i temi sempre spinosi, come in questo caso quello della diversità e del dichiararsi. Uno Scamarcio diverso, che piace e che convince, è forse però la vera sorpresa della pellicola.

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