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Cappuccetto rosso e il miracolo

Cappuccetto rosso e il miracolo

Tra i film più interessanti presentati al Festival di Venezia 2009, Lourdes è il diario inquietante e distaccato, come “lo sguardo di un viaggiatore giapponese”, di un pellegrinaggio come tanti alla ricerca del miracolo. Diversa da tutti è, però, Christine, esile, grandi occhi, nasone, sguardo disarmante e vestito bianco e rosso come quello della protagonista di un altro impenetrabile film di Jessica Hausner, Hotel (2004). Un beffardo cappuccetto rosso, la cui mimica rende misterioso anche il gesto più convenzionale, che emerge come un cartone animato in rilevo cromatico dalla meschinità che la circonda, mentre su di lei veglia un anziano angelo custode che non parla mai. La regia ci mostra la solitudine e l’invidia, evitando però la facile ironia per insinuarsi con garbo nei freddi rituali “aziendali”. Qualche sorriso ma senza enfasi né toni sferzanti, come un Buñuel più gentile.

I movimenti della macchina da presa sono ridotti al minimo, le inquadrature riproducono la fissità delle antiche cartoline, la fotografia è nitidissima, il rosso e il blu emergono sullo sfondo incolore della pellicola anestetizzata da silenzi e musica sacra. La protagonista è spesso ripresa di profilo e dopo il miracolo, invece di un primo piano felice, la regia la schiaccia tra grandi colonne. Il tono delicato e lo stile documentaristico non impediscono la costante sensazione di suspense enigmatica. La malinconia e lo squallore culminano nell’elezione del pellegrino dell’anno sulle note di Albano e Romina, mentre Cristine, dopo un rapido assaggio di vita, si risiede sulla sedia a rotelle con una folle smorfia da brivido. Un’opera laica che rifugge cinismo e fanatismo e suscita, con toni bassi, un senso di profondo turbamento.

Curiosità
Il film è stato girato con mesi di preparazione durante le cerimonie di commemorazione dei 150 anni dall’apparizione della Madonna alla piccola Bernadette. La regista si è ispirata a Ordet di Carl T. Dreyer (1954) per la rappresentazione del miracolo e all’umorismo di Jacques Tati. L’attore Gerhard Liebman (padre Nigl) è rimasto colpito dall’atmosfera del luogo, dichiarando: «Arrivare a Lourdes è scioccante: centinaia e centinaia di barelle, persone speranzose di guarire, una sensazione di commozione che si fa ambivalente appena ti accorgi dell’indotto, di questa sorta di Disneyland cattolica che sfrutta la speranza e la fede dei malati”.

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