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cultura dell'immagine e della parola

Quelle voci
inaudite

Se siete milanesi, potreste viverlo come un evento: state finalmente per sentire le voci degli immigrati orientali che incontrate ogni giorno per strada ma coi quali non avete mai scambiato nemmeno due parole. Se invece siete di Roma, Genova o Torino, pur non essendo direttamente chiamati in causa, non lasciatevi scappare l’occasione di vedere un bel documentario diretto da un giovane e bravo regista italiano. S’intitola Giallo a Milano, tratta della più antica comunità cinese in Italia e intorno al 14 febbraio, in occasione del Capodanno della Tigre, sarà distribuito in alcuni cinema dei capoluoghi di Lombardia, Piemonte, Lazio e Liguria.

Costruito intorno a un’ideale elenco in quindici punti degli elementi necessari a costruire un buon giallo (genere che col documentario condivide la missione dello svelare un mistero), il lavoro di Sergio Basso colpisce fin dalle prime scene, grazie a un approccio anomalo e spiazzante. Nella stragrande maggioranza delle scene, infatti, la narrazione non procede, come ci si aspetterebbe da un documentario, per dichiarazioni rilasciate alla telecamera. A susseguirsi sono invece dei dialoghi tra i protagonisti, lasciati a parlare tra loro in modo spontaneo alla presenza della macchina da presa. Una scelta curiosa e non priva di rischi: il regista racconta infatti di aver dovuto lavorare molto prima delle riprese per creare con i soggetti filmati la giusta intimità, in modo da permettere loro di aprirsi in modo naturale alla presenza delle telecamere. Una scommessa vinta anche grazie alla capacità di Basso di esprimersi correttamente in mandarino, conquistandosi la fiducia dei cinesi coinvolti.

Altri punti a favore di questo lavoro, le particolarissime animazioni che ne animano le prime sequenze e l’ottimo lavoro svolto sui materiali d’archivio. La scelta di inserire sequenze animate, come ha dichiarato lo stesso Basso, è dovuta al desiderio di proteggere l’intimità di un collaboratore di giustizia cui era stata chiesta una testimonianza, senza che l’uso della voce camuffata o della ripresa di spalle mitigassero la potenza della sua testimonianza. Per quanto riguarda filmati e foto d’epoca, invece, il merito è tutto della stessa comunit&agrave cinese, i cui membri hanno accettato di fornire materiali e contributi per la realizzazione di un film che – se riuscirà, come merita, ad arrivare a un pubblico numeroso – darà il suo contributo all’estinzione di qualche luogo comune ormai stantio. Anche per questo, vale la pena di supportarlo.

Curiosità: a partire da metà febbraio, sul sito del Corriere sarà attivata anche una piattaforma crossmediale dedicata a Giallo a Milano. Da lì sarà possibile accedere ad alcuni contenuti extra non inclusi nel montaggio finale del film, comprese tre interviste inedite.

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Se siete milanesi, potreste viverlo come un evento: state finalmente per sentire le voci degli immigrati orientali che incontrate ogni giorno per strada ma coi quali non avete mai scambiato nemmeno due parole. Se invece siete di Roma, Genova o Torino, pur non essendo direttamente chiamati in causa, non lasciatevi scappare l’occasione di vedere un bel documentario diretto da un giovane e bravo regista italiano. S’intitola Giallo a Milano, tratta della più antica comunità; cinese in Italia e intorno al 14 febbraio, in occasione del Capodanno della Tigre, sarà distribuito in alcuni cinema dei capoluoghi di Lombardia, Piemonte, Lazio e Liguria.

Costruito intorno a un’ideale elenco in quindici punti degli elementi necessari a costruire un buon giallo (genere che con il documentario condivide la missione dello svelare un mistero), il lavoro di Sergio Basso colpisce fin dalle prime scene, grazie a un approccio anomalo e spiazzante. Nella stragrande maggioranza delle scene, infatti, la narrazione non procede, come ci si aspetterebbe da un documentario, per dichiarazioni rilasciate alla telecamera. A susseguirsi sono invece dei dialoghi tra i protagonisti, lasciati a parlare tra loro in modo spontaneo alla presenza della macchina da presa. Una scelta curiosa e non priva di rischi: il regista racconta infatti di aver dovuto lavorare molto prima delle riprese per creare con i soggetti filmati la giusta intimità, in modo da permettere loro di aprirsi in modo naturale alla presenza delle telecamere. Una scommessa vinta anche grazie alla capacità di Basso di esprimersi correttamente in mandarino, conquistandosi la fiducia dei cinesi coinvolti.

Altri punti a favore di questo lavoro, le particolarissime animazioni che ne animano le prime sequenze e l’ottimo lavoro svolto sui materiali d’archivio. La scelta di inserire sequenze animate, come ha dichiarato lo stesso Basso, è dovuta al desiderio di proteggere l’intimità di un collaboratore di giustizia cui era stata chiesta una testimonianza, senza che l’uso della voce camuffata o della ripresa di spalle mitigassero la potenza della sua testimonianza. Per quanto riguarda filmati e foto d’epoca, invece, il merito è tutto della stessa comunità cinese, i cui membri hanno accettato di fornire materiali e contributi per la realizzazione di un film che – se riuscirà, come merita, ad arrivare a un pubblico numeroso – darà il suo contributo all’estinzione di qualche luogo comune ormai stantio. Anche per questo, vale la pena di supportarlo.

Curiosità
A partire da metà febbraio, sul sito del Corriere sarà attivata anche una piattaforma crossmediale dedicata a Giallo a Milano. Da lì sarà possibile accedere ad alcuni contenuti extra non inclusi nel montaggio finale del film, comprese tre interviste inedite.

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