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Ma non doveva essere l’ultimo bacio?

Ma non doveva essere l'ultimo bacio?

La generazione Muccino, solo all’apparenza, cresce di Daniela Scotto ******

Urla nevrasteniche, frenesie temporanee, nevrosi, retaggi adolescenziali che fanno sentire il proprio peso soprattutto raggiunta la temibile soglia dei trent’anni: L’ultimo bacio era tutto questo, un gruppo di amici impegnati a tenere a bada lo spauracchio del fallimento delle loro aspettative di una vita. Dieci anni dopo, ritroviamo ancora Carlo, Giulia, Marco, Livia, Adriano e Paolo immobilizzati in loro stessi, epitomi di una deprimente involuzione: forse è proprio così: in dieci anni non puoi cambiare ciò che sei, anzi, ti sei abituato a te stesso e hai anche imparato a convivere con i tuoi sogni mancati.

Il film sembra aprirsi in questa maniera, con la voce narrante, sempre quella di Carlo (Stefano Accorsi), sereno nella piena accettazione di sé e delle sue mancanze. E ritrovare le stesse dinamiche tra i personaggi, nonché le medesime situazioni già viste nel film precedente, purtroppo non schiude nuovi spazi alla riflessione né apre nuovi scenari di osservazione come invece, per quanto imperfetto, L’ultimo bacio era stato in grado di fare. Piuttosto, i dubbi che metteva in moto il film restano insoluti nonostante il secondo capitolo: cosa si nasconde dietro l’irrefrenabile inquietudine di Carlo, oramai fine a se stessa? Forse nulla. Perchè Livia ha una personalità schizoide, e Adriano è scomparso per dieci anni? Cosa spera di trovare Marco in Brasile? Qualcuno è ancora alla ricerca di se stesso, qualcun altro dell’amore perfetto, ma tutti sono rimasti immobili. A uscire veramente perdente, nell’antropologia italian-mucciniana, è la concezione dell’amore: esso sembra realizzarsi pienamente solo nel tradimento, nella passione trasgressiva o in ogni caso lesiva per terze persone. Tutto questo è, in una parola, triste.

Baciami ancora è davvero lo specchio della nostra generazione, del declino totale ed ineluttabile della famiglia e dei suoi valori? Forse sì. Però, il comunque valido Muccino avrebbe dovuto avere un occhio più accorto nella scelta del cast, soprattutto in vista della grave defezione di Giovanna Mezzogiorno, il cui mitico urlo di dieci anni fa la consacrò nel panorama delle attrici italiane più amate. Il regista avrebbe potuto selezionare un’attrice anche meno bella della Puccini, ma più espressiva, vibrante: dobbiamo proprio ammetterlo, la nostalgia della Mezzogiorno accompagna tutti i 140 minuti del film. L’anoressica Daniela Piazza nei panni di Veronica è altrettanto deprimente, soltanto la Impacciatore riesce a ripetere se stessa con intensità (avrebbe meritato un migliore sviluppo del personaggio). Ottimo Pasotti perso tra i suoi ricordi indicibili e molto autoironico Favino nel ruolo del macho ferito. Ma questo tipo di dramma umano, troppo umano, anche per sopperire a una sceneggiatura insicura e spesso ripetitiva, avrebbe meritato interpreti del massimo calibro. Inspiegabile è anche il finale del film, che sembra ricalcare quasi alla lettera la sequenza di Saturno contro di Ferzan Ozpetek: è un dialogo a distanza voluto oppure sintomo di mancanza di idee? Per calare il sipario sulla nostra generazione, affetta da passioni tristi, è meglio ancora una volta fermare nella mente lo sguardo di Giovanna Mezzogiorno, mentre corre, alla ricerca di nuove conferme, forse più accessibili di quello che avrebbe potuto immaginare.

Perdersi per ritrovarsi? di Jleana Cervai ****

Si potrebbe raccontarlo sulle note de Gli amori di Toto Cutugno l’ultimo film di Gabriele Muccino. «Ma quanti amori, quali amori / con il coraggio / e la paura di volersi bene»: è questo che accade nelle storie sentimentali aggrovigliate e confuse dei protagonisti, certo più maturi rispetto a nove anni prima ma ancora alla ricerca di sé e della felicità. Un «amore con la paura di volersi bene» è per eccellenza quello di Carlo e Giulia, nei cui panni al posto della bruna Giovanna Mezzogiorno c’è la bionda Vittoria Puccini: peccato, ci sarebbe piaciuto ritrovare quella stessa Giulia che ci aveva lasciato correndo e sorridendo maliziosa nel finale de L’ultimo bacio. «Amori ormai scoppiati che non sanno stare insieme»: è il caso di Livia e Adriano. Non solo lui è scappato davanti alla responsabilità paterna ma si è addirittura messo nei guai con la giustizia, mentre lei ha cresciuto da sola il figlio e vuole ad ogni costo tutelarne la serenità. «Amori al limite della follia»: è la storia di Marco e Veronica. Davanti al tradimento della moglie, infelice per il figlio che non arriva, lui perde letteralmente la testa e rivela quella fragilità emotiva che nascondeva dietro la maschera dell’uomo tutto d’un pezzo. «Amori fragili che vanno via/ quelli in cui soffri solamente tu»: è il ritratto della tormentata relazione fra Livia e Paolo. Lei, terrorizzata dall’idea che lui possa demolire quella tranquillità che si è faticosamente ricostruita, vorrebbe che lui le dimostrasse di essere affidabile; lui, già incapace di volersi bene, finisce per non sentirsi amato abbastanza e si chiude nel suo dolore.

Il significato del film di Muccino è un messaggio abbastanza forte. «Noli foras ire, in te ipsum redi» diceva S.Agostino: i protagonisti hanno imparato a loro spese (tutti tranne Paolo che non ce l’ha fatta ad affrontare coraggiosamente la propria vita preferendo rifugiarsi nei farmaci) che l’atto del «de-vertersi», ossia il tentativo di rivolgersi in una direzione che sia sempre altra rispetto alla realtà, in un eterno «altrove» che sia giustificazione per non assumersi le proprie responsabilità, insomma quel tentativo di perdere coscienza di sé, non rende felici. Il risultato cinematografico però non è dei migliori. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Muccino, si muove un po’ incerta fra i registri del romanticismo, della drammaticità e dell’ironia. Ci sono effettivamente scene che strappano il sorriso (Adriano che “si redime” lavorando nel negozio di articoli religiosi di Paolo o Carlo che scappa, lui ex-marito legittimo, come un amante furtivo dalla sua stessa casa) e altre venate di malinconia, ma forse il film risulta appesantito da un’eccessiva lunghezza, cui non corrispondono abbastanza sorprese e colpi di scena, oltre che da un turpiloquio spesso sovraccarico e talvolta quasi gratuito. Tutto va più o meno come ci si può immaginare, già a partire dal primo tempo e il sequel perde d’intensità rispetto al precedente. Quanto agli interpreti, Favino spicca decisamente nei fulminei trapassi tragicomici dall’atteggiamento del duro alle lacrime da bambino disperato, mentre Pasotti appare un po’ sottotono e quasi ridicolo nel look da ex galeotto. Quest’ultimo insieme ad Accorsi e a Santamaria condivide del regista il ritmo ansiogeno: un’emotività che accomuna gli attori prima ancora dei personaggi.

In questo il tessuto di Baciami ancora è rimasto perfettamente fedele all’Ultimo bacio: c’è un’identica struttura “a spirale” che convoglia sempre più le tensioni sotterranee, le insoddisfazioni sopite, i rancori malcelati, le tentazioni sentimentali e gli amori titubanti verso l’inevitabile esplosione finale. Un vortice turbinoso insomma che in questa seconda pellicola si serve spesso di un oggetto simbolo: la porta. Ci sono le porte sbattute di chi se ne vuole andare, gli usci socchiusi di chi non si chiude del tutto al dialogo ma ancora non si fida completamente, e ci sono porte che sembravano definitivamente chiuse e che invece si riaprono. E poi c’è la “porta metaforica”, quella soglia, quel limen fra potenzialità e atto che il regista fa varcare ai suoi personaggi ricordando anche a noi che a un certo punto è necessario smettere d’interrogarsi sulla vita che non hai vissuto e su quella che avresti potuto vivere, per iniziare a vivere davvero quella presente. Un film da S.Valentino, che senza troppe pretese ci lascia al tempo stesso qualche saggio spunto di riflessione, dicendoci che «la vita non ci dà sempre le cose come noi le vogliamo. Ma l’importante è che ce le dia».

Curiosità
Giovanna Mezzogiorno ha declinato l’offerta per il film sostenendo che il personaggio di Giulia non aveva avuto alcuno sviluppo. La discussione con il regista ha raggiunto toni talmente accesi che quest’ultimo ha dichiarato che non avrebbe mai più coinvolto l’attrice in uno dei suoi film.

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