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Come un chiodo conficcato nelle radici del buio

Come un chiodo conficcato nelle radici del buio

E’ la storia di un occhio, dei nostri occhi di ginnasti dell’orrore, questo primo romanzo di Gianni Canova, che con una scrittura pulsante, fisica, intrisa di riverberi noir e rigurgiti splatter, ci fa precipitare dentro la spirale di un “detour” letterario, dove i protagonisti si contorcono su loro stessi, nell’impossibilità della salvezza e nel dovere dell’espiazione. Giovanni Vigo, il protagonista, è un giovane ricercatore universitario, apprezzato studioso di Dante e sopraffino conoscitore del Purgatorio dantesco. Ma è un solo un teorico della colpa che ignora l’esercizio della pena, sopravvaluta il castigo. Vigo s’infila così, trasportato dall’alone nero di una donna misteriosa, in una rete di perdizione fatta di personaggi che partoriscono mostri, appagando le erezioni delle nostre coscienze vuote, avide di freaks.

Scandito come fosse opera cine-musicale, con quattro movimenti e un entr-acte, Palpebre, romanzo storico pulp e postmoderno, innesta al proprio interno la graticola visiva dell’horror per citare le abitudini contemporanee delle decapitazioni on-line e dello scontro di civiltà, lasciando intendere provocatoriamente e beffardamente che non esiste immaginario più crudelmente osceno di quello cristiano. Con tenebre di sapore conradiano e pregno di riferimenti cinematografici (dalla kubrickiana cura Ludovico, passando per Rohmer e Fellini, arrivando a Tarantino), questo primo romanzo di Gianni Canova passeggia sulle grottesche macerie dell’Italia delle inconsapevoli caricature politico-televisive (Santanché, Salvini, Vespa) irridendo lo sterile sprezzante baronaggio universitario (il Professor Rattazzi) e figure giudiziarie, manichini kafkiani di forze oscure (o forse semplicemente fascio-democristiane, come il giudice Salvatore Maira).

Ciò che preme più a Gianni Canova non è la necessità di figurare un possibile mondo, ma di sfigurarlo. Ribaltare il feticismo della verità per smembrare corpi che, con i loro tagli spaventosi non siano più codificabili come realtà, ma come pensiero di quest’ultima. Rappresentazione. Per tale ragione siamo tutti colpevoli (e in questo si percepisce chiaro un reflusso proveniente da Susan Sontag), colpevoli di non saper non guardare, che sia aberrante pornografia animale o l’apparizione di un cadavere in autostrada, mentre siamo annoiati in coda. Non si possono serrare gli occhi, non certo con fili arrugginiti che tappano le ciglia, come il poeta fiorentino immagina nel tredicesimo canto del Purgatorio. Si deve piuttosto, come profetizza Giotto nel suo Giudizio Universale, lasciar sempre vedere. È l’immagine stessa, da peccato incurabile, a farsi orrenda punizione. E Palpebre, storia di un occhio da redimere, non è che l’ossessione di una pupilla post-umana, alla ricerca di un’ultima dolce visione. Mentre muore piano, impigliandosi nella sclera cieca e la sua iride, ricordo collassato, si colora di nostalgia.

L’autore
Gianni Canova ha dedicato vent’anni della sua vita a studiare le immagini. Fondatore e direttore del mensile Duel (ora Duellanti), curatore della Garzantina Cinema, attualmente conduce la rubrica quotidiana Il Cinemaniaco su Sky Cinema. Insegna Filmologia ed è Preside della Facoltà di Comunicazione presso l’Università IULM di Milano. Palpebre è il suo primo romanzo.

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