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Come rialzarsi con una caduta

Come rialzarsi con una caduta

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Ci sono registi la cui fama personale è superata da quella delle proprie opere. Tarsem Singh è uno di loro: se pure il suo nome vi dice poco, è facile ipotizzare che conosciate almeno uno dei suoi lavori. Siete appassionati di musica? Sicuramente ricorderete il video di Losing My Religion. Vi interessate di pubblicità? Non potete non aver visto We Will Rock You, celeberrimo commercial realizzato dal cineasta indiano per Pepsi e trasmesso nel bel mezzo del Superbowl 2004. Siete cinefili? Allora immagino conosciate bene – ahimé – The Cell, esempio preclaro di film potenzialmente strepitoso in virtù di un impatto visivo impressionante, ma in fin dei conti castrato da una storia claudicante e da un’interprete (Jennifer Lopez) di scarso spessore.

Considerati questi precedenti, sarebbe facile pensare a Tarsem come a un regista più di forma che di sostanza, un eccellente mestierante della macchina da presa senza eccessive pretese artistiche. A scombinare le carte in tavola, però, giunge The Fall, un’opera di grande maturità, tanto strabiliante dal punto di vista visivo quanto convincente sul piano della narrazione. Volendosi sbilanciare nei paragoni, l’ideale punto d’incontro tra Big Fish di Tim Burton e La storia infinita di Wolfgang Petersen. Un progetto faraonico che, dopo il flop del 2000, Singh è riuscito a traghettare in porto grazie alla propria caparbietà e, soprattutto, alle proprie credenziali in ambito pubblicitario.
La lavorazione del film, infatti, ha visto il regista muoversi da un set all’altro ai quattro angoli del mondo sfruttando i contratti stipulati per la realizzazione di spot di profilo internazionale, i cui cachet sono stati devoluti alla causa del buon cinema. Il risultato è una serie di riprese mozzafiato, messa al servizio di una storia affascinante, resa a sua volta efficace dalle magnifiche interpretazioni dei protagonisti, e in particolare della giovanissima Catinca Untaru (classe 1997), le cui improvvisazioni hanno segnato l’evoluzione dalla prima bozza di sceneggiatura al risultato filmico definitivo.

Proprio per valorizzare al meglio la sua piccola interprete, chiamata a generare attraverso le proprie fantasie il plot della fiaba che, intrecciandosi con la storia del fallito suicida Roy, detta i tempi del film, Tarsem ha scelto di lavorare in modo assolutamente anomalo. All’intera troupe presente sul set dell’ospedale è stato fatto credere che l’attore Lee Pace fosse realmente disabile, e le scene che vedevano protagonista Catinca sono state realizzate tutte con telecamere camuffate, affinché il clima sul set fosse il meno artefatto possibile. Una scelta tanto estrema quanto efficace, vista la resa finale della pellicola e il perfetto equilibrio tra le due linee narrative, quella realistica e quella fantastica, che ne costituiscono l’ossatura.

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