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Stereotipi in musica

Stereotipi in musica

«I love the cinema italiano»: il ritornello cantato da Kate Hudson in uno dei pochi momenti piacevoli del film sicuramente rispecchia l’amore del regista Robert Marshall per il nostro cinema e per Fellini; d’altronde, pur non essendone il remake, Nine è nato con l’intento di essere un omaggio al cinema del maestro italiano, in modo particolare a uno dei suoi capolavori, Otto e mezzo. Il guaio è che chi ama il cinema italiano non può davvero riuscire ad amare Nine, a meno che sia un appassionato cultore degli stereotipi anglosassoni sul nostro paese e la nostra cultura (e, incredibile ma dolorosamente vero, gli italiani amanti dei luoghi comuni sugli italiani esistono e non sono nemmeno pochi). Volendo trovare una definizione breve e concisa di Nine non si potrebbe che scegliere la seguente: apoteosi in musica dei luoghi comuni. Sull’Italia e sugli italiani. Ci sono proprio tutti, tanto che sorge il dubbio che Robert Marshall e i suoi sceneggiatori si siano lasciati ispirare, più che altro, dalle cartoline per turisti, i modellini del colosseo e qualche barzelletta. Troviamo, nell’ordine, l’italiano farfallone ma devotissimo alla santa memoria della mamma; la mamma che non si può staccare dal figlio, nemmeno dopo la morte; la moglie bella, fedele e tradita; l’amante focosa e stupida; il marito dell’amante, “cornuto e contento”; i preti; le strade di Roma in stile La dolce vita; le macchine sportive; il mandolino e il tamburello; le canzoni napoletane e le corse degli scugnizzi per i campi. Manca solo la pizza e un siciliano con la coppola, e sono entrambe mancanze che si fanno sentire. Quando la prostituta-strega Saraghina, alias Stacy Ferguson, canta la canzone-leitmotiv del film, [italic]Be Italian, lo spettatore è di fronte a un bivio: se ridere per la stupidità del testo («be a singer, be a lover» se sei italiano non puoi essere che un Domenico Modugno a caccia di pretty girls) oppure “ammirare” il balletto, con tanto di tamburelli, in stile Notte della Taranta versione kitch. E il kitch, in questo film, si spreca, a partire dalle bruttissime scenografie e gli altrettanto inguardabili costumi, così come si sono sprecate le capacità degli attori, italiani e non, che a questo film hanno partecipato.

A conferma di come non basti un cast di attori famosi a fare un buon film, Nine non riesce a salvarsi nemmeno grazie agli sforzi dei suoi interpreti, tra i quali si apprezzano soprattutto Judi Dench (la costumista nonché consigliera di Contini) e Marion Cotillard (la moglie del regista). Daniel Day Lewis si sforza in tutti i modi, saltella sui divani e sulle impalcature del Teatro 5, ma il suo Guido Contini non riesce ad essere più che un donnaiolo a cui serve urgentemente un barbiere e una cura disintossicante dal fumo, dalle donne e da se stesso. Più che un bohemien, un uomo che ha bisogno di una bella dormita e di una vacanza. Più che un poeta che vive in uno stato di perenne sospensione tra la realtà e il sogno, Contini è un adulto le cui fantasie non dimostrano maggiore profondità di quelle di un adolescente alle prese con le sue prime voglie sessuali. Ma attorno a cosa ruotano queste fantasie? Essendo un vero uomo italiano/romano, non poteva che essere la donna l’oggetto dei suoi sogni e delle sue visioni. La Madre, la Moglie, l’Amante, l’Amica, la Strega, la Musa: le donne di Contini non sono altro che la Donna, in tutta la sua complessità. Tale complessità iconica è stata scissa dalla mente del regista-sognatore in diverse figure, che per lui diventano simbolo conscio e inconscio del femminino e del femminile. La forza espressiva di queste figure-simbolo è però completamente distrutta dalla banalità dei loro ruoli e delle loro canzoni: più che Simboli, macchiette, figure riciclate da altri film, caratterizzate solo in virtù di quei luoghi comuni, di quegli stereotipi di cui si fanno portavoce. Da questo punto di vista fa quasi pena il tentativo di riecheggiare, attraverso l’insulso personaggio interpretato da Nicole Kidman, la figura di Anita Ekberg. Paragonare la coppia Kidman-Lewis alla coppia Ekberg-Maistroianni suona davvero come una blasfemia.

Tanti gli attori italiani in Nine ma, se escludiamo la Loren, presente soprattutto per essere una sorta di monumento nazionale al pari della Fontana di Trevi e dei faraglioni di Capri, e Ricky Tognazzi, a cui manca soltanto la bottiglietta di aceto balsamico, sono stati destinati loro solo ruoli assolutamente marginali. Elio Germano c’è, ma è come se non ci fosse e questo è un sacrilegio per chi ama davvero il cinema italiano e i suoi attori. Un Moulin Rouge chiassoso e pacchiano, dunque, con tanto di lieto fine moralizzante, insopportabilmente lungo, non Italia ma italietta mai esistita. Verrebbe quasi da dire che Nine è il terzo, clamoroso fallimento del povero Guido Contini.

Curiosità
Il film è tratto dal musical teatrale Nine del 1982, diretto da Tommy Tune.

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