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Gli occhi della speranza

Gli occhi della speranza

Martina è una bambina di otto anni. Il suo sguardo è attento, in continuo movimento. Ascolta, capisce, guarda con stupore ogni scoperta ma non parla. Riesce a comunicare solo con chi riesce a rispettarla, a guardarla negli occhi, a capire che di fronte non ha una stupida. Ha smesso di parlare quasi per scelta, quando ha visto morire fra le sue braccia il fratellino neonato. La nuova gravidanza della mamma, rimasta incinta nell’inverno del ’43 le riempie il cuore di speranza. La realtà, e, forse, ancora di più la natura dell’essere umano, qui filtrate dallo sguardo di Martina, sono al centro del discorso impostato e difeso dal cinema di Giorgio Diritti, che già ne Il vento fa il suo giro raccontava una storia di accoglienza, sofferenza, identità, verità e giustizia. Ecco perché gli interessava da tempo realizzare un film, una tragedia, sul dramma della strage avvenuta sull’Appennino bolognese nelle borgate circostanti il Monte Sole, nei comuni di Marzabotto, Vado-Monzuno e Grizzana-Morandi, conosciuta nella cultura comune e scolastica come la strage di Marzabotto. Perché la morte di circa 770 persone, in maggioranza bambini e anziani, non può lasciare indifferenti. Più in generale è il cinema di Diritti, anche “solo” attraverso due lungometraggi, che si ridefinisce come un cinema unico e rispettoso della dignità umana e che, quindi, non può lasciare indifferenti. Un cinema che sottolinea l’importanza dei legami, dei sentimenti, ma anche e soprattutto delle origini, del dialetto, dei sapori della terra, dei profumi della natura. L’uomo e il suo essere, la natura e la sua essenza.

Nell’equilibrio di ogni inquadratura minacciato dagli eventi s’intravede sempre un briciolo di speranza ma mai un tocco di banalità. Una luce che rimane accesa sempre grazie agli occhi di Martina nel lungo e orrido viaggio verso la morte che si trasformerà in un viaggio verso la salvezza. La speranza di Martina è la speranza che Diritti sembra voglia comunicare con il suo film, certamente più ottimista del precedente che, in qualche modo, sembrava già essere interessato all’odio, al conflitto, allo scontro, all’aggressività e alla cattiveria umana. E come nel precedente, anche qui, protagonista è pure la comunità capace di reagire ai nazisti con la propria identità, con il proprio stile di vita, con le proprie scelte morali. Una comunità forte, in grado di fare comunità nel senso più profondo del termine, di essere responsabile (cioè, capace di rendere conto anche con un gesto semplice, umile, come una stretta di mano, una preghiera, una carezza, ma anche capace di fare spazio, di accogliere, di prendersi cura), forte e paziente, sintesi e immagine di un bene più grande che si scontra con un male enorme. Comunità che è pure luogo di valori, di principi che conducono verso il significato di un’educazione fondata sul dialogo, sul necessario, unica, originale, non convenzionale, non finta.

La speranza di Martina, anche mentre guarda dalla finestra sfocata dal suo respiro, è la bussola per quell’uomo che verrà, perché si possa sentire protetto fino a quando non potrà alzarsi sulle proprie gambe e portare avanti, testimoniando con la propria vita, che gli sforzi di chi lo ha messo al mondo sono valsi a qualcosa. Perché, come dice il cantante “la storia siamo noi, nessuno si senta escluso” e per non smentirlo Diritti sembra suggerire, senza troppi indugi, che la vita può essere migliore grazie alle giuste testimonianze e, forse, anche grazie a questo tipo di cinema che sposta l’attenzione dello spettatore sul colore delle immagini, sul rumore del fieno, sui suoni strani dell’antico dialetto bolognese. Perché il visto e il sentito fanno parte di un messaggio di pace che non si può non considerare, in un film che non si può mancare di scoprire.

Curiosità
Gran Premio della Giuria e Miglior film votato dal pubblico alla quarta edizione della Festa del Cinema di Roma. Ha dichiarato Diritti: «Dalla ricostruzione delle vicende emerge come protagonista una comunità che, al di là degli episodi legati alle formazioni partigiane, oppone allo strapotere nazista una resistenza che, come cita don Giuseppe Dossetti nell’introduzione bibliografica al libro Le querce di Monte Sole di Monsignor Luciano Gherardi, “… è innanzitutto un atteggiamento morale, una rivolta interiore contro ogni prevaricazione, ogni violenza eretta a sistema, ogni sopruso, ogni ingiustizia, ogni ricatto. È tenace affermazione dei diritti dell’uomo, di ogni uomo, volontà di pace nella libertà; testimonianza di solidarietà umana al di sopra di ogni discriminazione; sfida dell’amore all’odio, della fede alla disperazione, della vita alla morte”».

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