Nessun ghigno per Bruce
Saranno pure diventati buoni amici il ruvido Bruce e lo scoppiettante Ashton, ma da quando Demi ha preferito la giovinezza e la perfezione al naturale invecchiamento di una vita più in sordina, il suo ex sembra proprio avere perso il sorriso. Destino vuole che l’attore sia perseguitato anche nel nuovo film di Jonathan Mostow da una moglie che non riesce più ad amare se stessa, tanto meno il marito. Personaggio hard-boiled con ferita dolorosa alle spalle e alter-ego/replicante privo di rughe (ma anche l’operatore che lo manovra, dietro la ruvidezza della barba, nasconde una pelle ben tirata), Willis si destreggia col suo mitra, tra salti e cortocircuiti, come un Terminator buono all’inseguimento del nemico. Il suo sguardo è vuoto, come lo è la sua vita privata, e il ghigno del John McClane di Die Hard, assieme al rapporto conflittuale sì, ma umanissimo, che aveva costui con la moglie Holly ci mancano davvero, da un po’ di film a questa parte.
Storia di fantascienza, che apre in modo interessante con un mockumentary sui progressi della scienza dopo il 2040, con lo sviluppo di robot umanizzati che, comandati dal nostro pensiero, ci sostituiranno nell’espletamento dei compiti quotidiani, il film ci mette in guardia dalla mancanza di etica che sta avviluppando tutta la nostra civiltà. L’ansia di apparire perfetti, di elevarsi a nuovo Dio con la scienza e la pazzia che deriva dall’avere perso ogni punto di riferimento: Il mondo dei replicanti aspira a dire tutto questo nell’involucro dell’action-thriller senza negare allo spettatore il fine primo del cinema, che è quello dell’intrattenimento. Montaggi alternati che incalzano il ritmo, inquadrature fuori asse per testimoniare quanto il mondo dei replicanti sia finto e somigli sempre più a una fiction, scenografia fredda e colori accesi. Ci sono lo scienziato impazzito e il santone arrabbiato. Nulla di nuovo, però, sotto il sole degli effetti speciali e delle protesi informatiche di vecchia memoria (familiari, per altro, al regista Mastow). La storia ripete in parte quella di Matrix (fratelli Wachowski, 1999), senza più la matrice e senza mitologia e archetipi alle spalle.
La soluzione finale scade un po’ nel banale, per la faciloneria con cui viene risolto il problema dei “surrogati”, ma il sentimento non manca quando si vedono i veri e antichi valori riappropriarsi del loro spazio, temporaneamente derubato dalla mera forma priva di sostanza. La malinconia pervade lo script nello scandire la crisi del rapporto tra marito e moglie, ma la presenza di una star come Bruce Willis serve a riscattare la tristezza del presente, almeno col ricordo dei bei vecchi tempi, in cui i personaggi che interpretava erano poliziotti un po’ pasticcioni, ma furbi e ironici, che sapevano ammaliare uomini e donne con quel fare finto incazzato e la solita battuta pronta.
Curiosità
Basato sulla miniserie a fumetti The Surrogates, scritta da Robert Venditti e disegnata da Brett Weldele, il film è stato sceneggiato da Michael Ferris e John Brancato, già autori di Terminator 3: Le macchine ribelli e Terminator Salvation.
A cura di Valentina Vantellini
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