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Billennium

Isole di cemento schiacciate tra vorticanti svincoli autostradali. Centri commerciali assaliti da orde di barbari consumisti. Quartieri residenziali iperprotetti che sognano la violenza per cacciare la noia e precipitare in un mondo di passioni. Forse pochi avrebbero pensato di trovare questi scenari ballardiani – oggi peraltro realistici – sulle lavagne delle facoltà di architettura. Ma è andata proprio così, perché la letteratura di James Graham Ballard è salita letteralmente in cattedra, diventando tema di studio imprescindibile. In Inghilterra, patria dello scrittore, lo sono già da qualche anno. Infatti, dopo essersi scrollato di dosso l’etichetta vuota di “letteratura pop”, l’autore è diventato scelta obbligatoria fra i libri di teorici dell’architettura, una sorta di strumento letterario attraverso cui filtrare il mondo contemporaneo. Ballard è stato infatti uno dei più acuti osservatori dell’universo architettonico moderno che ha saputo raccontare l’alleanza e compenetrazione totale tra capitalismo e sviluppo urbano, nonché i modi in cui lo spazio sta influenzando la psicologia delle persone. A confronto Le Corbusier sembra ormai un sognatore utopista lontanissimo dalla realtà di oggi.
Basti pensare a romanzi come L’isola di Cemento, Super Cannes o Condominio. Opere capaci di fotografare l’oggi in alta risoluzione, di scavare e descrivere impietosamente il nostro quotidiano in contesti del tutto familiari: i cosiddetti “psyco-space” o “ballardian space”, come già venivano etichettati dai professori di letteratura e oggi da quelli di architettura. Siamo pervasi da un sentimento diffuso d’insoddisfazione verso l’architettura, ci sentiamo aggrediti dal brulicare irrefrenabile dei tentacoli urbani, smarriti nella “bigness” delle angoscianti periferie senza forma già descritte da Rem Koolhaas. La città del futuro è un campo per rifugiati costruito in Iraq da Kellogg Brown & Root, sussidiaria della Halliburton, e principale costruttore delle basi militari statunitensi. Li possiamo ammirare in tutto il loro anaffettivo, razionale splendore nel recente film The Hurt Locker di Kathryn Bigelow oppure, con un balzo neanche troppo in avanti nel genere fantascientifico, in District 9.
Eppure, in questi scenari postapocalittici e irreversibili, gli stoici eroi ballardiani hanno l’onere e il merito di portarci fino in fondo al tritacarne. Nel marcio delle città sovraffollate e senza confini ci guardiamo allo specchio. Senza una risposta, ma attraverso un percorso di esperienza diretta che in sé racchiude una possibile redenzione. Infatti, come a rimarcare il confine con i suoi più giovani e “fortunati” lettori che non hanno mai sperimentato catastrofi sulla loro pelle, Ballard ci ricorda, dall’alto della sua esperienza nei campi di prigionia a Shangai, che l’uomo è una formidabile razza in grado di resistere alle più grandi atrocità, ma anche di infliggerle. E con la sua morte (aprile 2009) non fa altro che ricordarci l’impatto di questi fulminanti Anni Zero, antipasto di ciò che lui ampiamente previde e descrisse nei suoi romanzi.

Oggi, il più ambizioso programma universitario a trattare le tematiche ballardiane in architettura ha un nome che è tutto un programma: Crash: Architecture of the New Future, un corso tenuto da Nic Clear e Simon Kennedy nel biennio 2007-2008 alla Bartlett School of Architecture di Londra. Il punto di partenza teorico è la natura speculativa dello spazio architettonico che in Ballard è importante su più livelli.
Realizzando animazioni e video con varie tecniche di computer grafica, gli studenti hanno rappresentato in forma sintetica immaginari e tematiche letterarie ballardiane. L’obiettivo del corso era studiare le modalità con cui lo scrittore ha fatto interagire spazio reale e virtuale nei suoi romanzi, e analizzare con coerenza le sfide interne a un mondo tecnologicamente saturo, nonché le conseguenze psicologiche dell’architettura.
Ma è stata soprattutto l’ampia disponibilità attuale di mezzi tecnologici a permettere a Clear e Kennedy di avviare un simile lavoro di ricerca. Lo sviluppo e la diramazione della CGI e l’accessibilità ai software di elaborazione video sono infatti sotto gli occhi di tutti. Le condizioni presenti rendono l’animazione digitale e gli audiovisivi in generale un modo accessibile e potente per comunicare lo spazio e l’architettura contemporanee in forme narrative originali. Anche senza alcun budget.
Un altro fattore determinante è stata la possibilità di lavorare con una generazione abituata a rappresentare e rappresentarsi su video, a costruire – anche solo per scherzo – cortocircuiti tra immaginari, ibridazioni, rielaborazioni e collage di forme audiovisive diverse.
Ma non solo. Quella di Crash: Architecture of the New Future è stata una classe di studenti di un corso interfacoltà a cui dare una possibilità oggi importante: trovare una voce (con modalità low-fi) e usarla per raccontare una storia. E nella migliore delle ipotesi, riuscire a stagliarsi nel brusio indefinito di un’altro “ballardian space” in divenire, un altro “psycho space” potenziale: quello di YouTube e siti affini, che dalla loro nascita si espandono come le suburre impazzite descritte da Ballard. Senza direzioni prevedibili.

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