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La disfatta dei bulli

La disfatta dei bulli

Ben X è l’avatar del diciassettenne Ben nel videogame di ruolo online Archlord.
Ben X è anche la pronuncia della frase «(Ik) ben niks», che in olandese significa “(io) non esisto”.
«Ben je Gek?!» ovvero «sei matto?!» è lo slogan pubblicitario che ossessiona Ben nell’attraversamento quotidiano della città.
Alter-ego, voglia di essere invisibile, consapevolezza di essere classificato come matto: sono questi i pensieri ricorrenti nella mente del giovane Ben, affetto dalla sindrome di Asperger, i cui sintomi si manifestano in un leggero autismo responsabile del suo disadattamento sociale. Prendendo spunto da un fatto di cronaca dolorosamente frequente anche nella nostra Italia (il suicidio di un ragazzo rifiutato e sbeffeggiato dai compagni di classe), lo scrittore/regista Balthazar valorizza il delicato tema della diversità in età adolescenziale associandolo alla difficoltà di integrazione e, di contro, alla resistenza, conformista o violenta, da parte dei ragazzi “normali”. Ben X, fortunatamente, ha il pregio di non essere in nulla e per nulla un noioso dramma di denuncia sociale, grigio e strappalacrime. Con un target imposto di giovanissimi e nonostante l’intento didattico alla base del progetto, il film si inscrive in più generi, tra cui il teen-movie, il film drammatico, d’inchiesta, il thriller e si esprime attraverso il linguaggio (il videogame online, il telefonino, internet, la colonna sonora rimbombante e ritmata) e i sensi (le riprese in soggettiva o disconnesse come quelle dei videoclip) di un adolescente qualunque – non fosse per un’intelligenza e una sensibilità fuori dal comune in continua lotta contro l’incapacità di rielaborare le situazioni per coglierne la sintesi, invece che le singole parti.

L’originale parallelismo tra gioco di ruolo (in cui il protagonista si sente rispettato) e vita reale (che lo vede nei panni dell’ emarginato) riesce a rendere comprensibile a tutti lo scompenso tra l’ideale rappresentazione di sé da parte di Ben e la reale identità sociale di loser restituitagli dagli altri, che lo devasta psicologicamente e lo spinge a tentare la vendetta e poi il suicidio. I rimandi al videogame riescono a non essere artificiosi: sono, invece, sintomi concreti dello straniamento dalla realtà da parte di Ben, diventando uno strumento per analizzare i fatti da un punto di vista ad essi esterno. Le interviste in stile mockumentary sparse per tutto il lungometraggio sono testimonianze della problematicità della condizione adolescenziale, spesso presa sotto gamba dagli adulti, e fungono da metronomo alla vicenda narrata. Ne scandiscono il ritmo, in una dialettica costante con il voice-over del protagonista e determinano anche un crescendo di suspense che sfocerà nel colpo di scena finale. Come in tutte le storie di formazione, fondamentale al risolversi delle proprie paure è la presenza di un mentore, qui nelle vesti femminili di Starlite, la “guaritrice” in Archlord, presenza virtuale/reale nella mente di Ben. L’arco di trasformazione che costui subisce è profondo e viene suggellato in forma di rituale, con una celebrazione liturgica che sancisce la morte della vecchia identità e la nascita della nuova, cosciente delle proprie idiosincrasie e handicap e disposta ad accettarle, a conviverci. Perché se si è diversi e ci si sforza di essere normali, si avvertirà sempre quel senso di disagio e non appartenenza che alla lunga corrode Ben dal di dentro.

Il quadro che il film restituisce è quello di una società sempre più selettiva e intrusiva, potenziata, nel raggiungimento dei suoi scopi, dai moderni mezzi di comunicazione, che amplificano il raggio d’azione dell’occhio indiscreto del “grande fratello” orwelliano. I bulli/mostri, questa volta, però, prenderanno una bella batosta e proveranno un tal senso di vergogna (più che di vero senso di colpa) da renderli vulnerabili e azzerarne lo score finale per incrementare quello di Ben X. La morte dei nemici, secondo le regole del gioco, rende più forte l’eroe. Dopo un primo atto allucinante, claustrofobico e sofferente e un secondo atto imprevedibile e teso, lo spettatore ormai simpatizzante per Ben – interpretato da uno straordinario Greg Timmermans, fresco di scuola di recitazione – non potrà che gioire di un «game over» troppo sopra le righe, ma perfettamente rappresentativo dell’idea di riabilitazione di Ben. E il post-scriptum, con la natura al posto della città e un cavallo a sostituire l’uomo, infonderà garbatamente nel pubblico quella pace a cui ha anelato durante tutto il film.

Curiosità
L’origine di questa pellicola (uscita in Belgio nel 2007) è l’ingaggio, da parte del ministero dell’istruzione belga, di Nic Balthazar, popolare giornalista televisivo e critico cinematografico, per la stesura di un romanzo accessibile ai giovani sul tema del bullismo. Prima prosa, poi teatro (col coinvolgimento di una star belga), infine film, Ben X si è appropriato di ciascun linguaggio mediatico con successo.

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