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Nuovo Cinema Natalizio

Nuovo Cinema Natalizio

A Christmas Carol, trasposizione piuttosto fedele di un racconto celebre di Charles Dickens, è un film di Robert Zemeckis a tutto tondo, nel senso che ricalca e amplifica l’idea di cinema del regista e produttore e sceneggiatore di Chicago, devoto alla sorpresa della sperimentazione, al gusto del paradosso, al sapore del fantastico (viceversa, in un certo senso si potrebbe “rileggere” l’intera trilogia di Ritorno al futuro come una storia dickensiana, ma in chiave moderna). Questo è un prodotto dal punto di vista commerciale intelligente/furbo: non è stato pensato e non è stato costruito per i bimbi, ma, in parte, li conquista; riesce a stupire il cuore e gli occhi dei ragazzini e degli adulti grazie alla forza prorompente degli effetti speciali tridimensionali e della motion capture; ha come perfetto sponsor il sempre più istrionico Jim Carrey (che qui è multiforme – interpreta sia il vecchio Scrooge, sia i tre spiriti natalizi) capace di direzionare la sua generosa interpretazione verso coordinate tanto orrorifiche quanto ambigue. Tra fiocchi di neve che abbondano, voli notturni e acrobatici su una Londra oscura, peli del naso e rughe impressionanti, A Christmas Carol trascina lo spettatore in un gioco caleidoscopico di immagini trasformandosi ben presto in un’esperienza visiva emozionante, nonostante il discorso confezionato da Zemeckis sia meno emozionante di quanto ci si possa attendere. E nonostante l’animazione tanto cara al regista americano non riesca ancora a offrire il massimo delle sue potenzialità (i movimenti, ad esempio, sono ancora troppo meccanici e finti).

I temi cari al regista sono tutti presenti e in bella mostra: dalla rappresentazione della solitudine, al viaggio nel tempo, dalla ricerca dei valori perduti e delle virtù, alle ricostruzioni scenografiche d’epoca, fino alle intersezioni tra fantasia e realtà come accade dai tempi di Chi ha incastrato Roger Rabbit? (Who Framed Roger Rabbit, 1988) o alla dialettica peccato/colpa, riscatto/perdono, scelta/destino. Ma soprattutto c’è il gusto di scoprire, ancora una volta, la capacità di fondere la cultura popolare e le tecnologie di ultima generazione con la tradizione culturale e popolare, come era accaduto in modo eclatante, ad esempio, in Polar Express (2004) o in La leggenda di Beowulf (Beowulf, 2007). Perché questa è l’etichetta Zemickis: ripescare un racconto, una storia, una diceria, un modo di pensare, una teoria, fondere il postmoderno senza lasciare nulla fuori posto, con gli attori giusti, il ritmo giusto, le musiche giuste. A scapito, a volte, delle emozioni.

Ma A Christmas Carol, non bisogna dimenticarlo, è pure un racconto di Charles Dickens, scritto nel 1843, raccolto nell’edizione collettiva dei Christmas Books, uscita a Londra, con una prefazione dello stesso Dickens, nel settembre 1852. E, come il racconto di Dickens, pure il film, grazie anche alla precisione dei dettagli, ricalca l’impostazione originale pensata dallo scrittore inglese. Quel suggerimento educativo contenuto nell’opera dickensiana, costante che attraversa tutte e cinque le storie dei Christmas Books, è il motivo della famiglia riunita: il messaggio natalizio-cristiano di Dickens (e di Zemeckis) si materializza perciò nell’immagine centrale del focolare domestico. A Christmas Carol è ambizioso per questo ma anche perché riqualifica il ruolo e il corpo dell’attore (un’altra costante nel mondo di Zemeckis), offrendo allo spettatore la possibilità di vivere uno spettacolo diverso, fuori dal comune. Come dimostra, da sempre, il cinema di Robert Zemeckis.

Curiosità
Terza trasposizione del racconto di Dickens firmata Disney dopo Il canto di Natale di Topolino (Mickey’s Christmas Carol, 1983) e Festa in casa Muppet (The Muppet Christmas Carol, 1992). Si contano venti versioni cinematografiche: la prima, Scrooge; or Marley’s Ghost è del 1901, firmata dall’inglese Walter R. Booth dura 11 minuti; divertente quella di S.O.S. fantasmi del 1988, con Bill Murray nei panni di Scrooge versione cinico produttore televisivo, firmata da Richard Donner. Sono circa cinquanta, invece, le versioni televisive (tra cui una firmata da Dennis Dugan, attore ma anche regista di Zohan). Versione strampalata, ma divertente, quella firmata da Lorenzo Bassano per Radio Deejay nel 2004 con Natale a casa Deejay dove Linus veste i panni di Scrooge alias Cavalier di Molfetta.

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