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La gabbia della solitudine

La gabbia della solitudine

Inquadrature statiche e asciutte. Set asettico e monocromatico. Cast al singolare. Solitudine dei sensi e dello spazio. Moon è un ritratto cinico e spassionato del futuro di un’umanità civilizzata e tecnologicamente progredita – qui simboleggiata dalla multinazionale Lunar Industries – che sta perdendo di vista i propri valori (in primis quelli intrinseci all’individuo) in una corsa immorale e forsennata al profitto. Il suo modus operandi, nascosto dietro la facciata del progetto filantropico, si fonda sull’inganno. Le derive della scena mediatica ed economico-politica contemporanea si rintracciano facilmente in questo film, che contempla un futuro in cui anche i ricordi si materializzano attraverso una cinepresa e un montaggio ad hoc, simile a quello utilizzato nei tanti salotti e reality televisivi a cui siamo abituati.

La storia si tinge di malinconia ed è pervasa da un che di poetico, la cui pacatezza si rispecchia in una colonna sonora priva di parole e in una scenografia essenziale. Molta attenzione è riservata ai sentimenti, alla parabola di crescita e alla presa di coscienza del protagonista. Quello che si avverte nella pellicola, in opposizione alla perdita di etica rappresentata, è proprio il rispetto per l’essere umano in quanto tale. Un bel traguardo per un regista pubblicitario come Duncan Jones: lasciare da parte la forma per raggiungere la sostanza. Tutto è studiato per concorrere a calare il pubblico in uno stato di sospensione ricca d’ansia. La superficie lunare, il bianco degli interni della base spaziale, un dialogo ridotto ai minimi termini. Chi guarda il film sente una stretta al cuore quando Sam Bell (nell’interpretazione appassionata di Sam Rockwell), unico “cittadino” sul suolo lunare intempestivamente sdoppiato in uno dei suoi cloni, vede morire ogni speranza, di fronte a un’inaccettabile scoperta. Per tre anni ha aspettato di tornare sulla terra; con trepidazione ha vissuto gli ultimi giorni di permanenza sulla Luna, avido di abbracciare la sua famiglia, unico ancoraggio al mondo reale e unico stimolo ad andare avanti. Se questo non c’è più, tanto vale lasciarsi morire in un isolamento che è tanto fisico, quanto psicologico. Lo spettatore divide le sorti del protagonista, e la sua rabbia, tramutatasi in disperazione, gli sale in un grido muto dallo stomaco fino alla gola, dove muore nel silenzio.

Il lungometraggio vanta citazioni prese a prestito dal cinema di fantascienza del passato, di cui le più evidenti sono quelle da 2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968) e Solaris (Andreij Tarkovskij, 1972; Steven Soderbergh, 2002). Il gusto per il paradosso ricorda invece la seconda serie di Ai confini della realtà (1985-1989). È difficile da capire e apprezzare questo film, a causa dell’abitudine consolidata alla spettacolarizzazione del genere fantascientifico. Perché qui la fantascienza diventa solo cornice e pretesto per illustrare e dare concretezza a un sentimento, a uno stato emotivo, a un bisogno fisiologico: quello di uno scambio di affetti, quello di un rapporto “umano”. Le immagini raccontano le vergognose conseguenze dell’egoismo umano, che mette a braccetto intelligenza e spietatezza, efficienza e calcolo. La cosa più assurda è che Gerty, il robot di bordo che nella versione originale è animato dalla voce di Kevin Spacey, sfoggia un’umanità dimenticata sulla terra, lui che è fatto di microchip e che comunica le emozioni visualizzando smiley sul suo monitor. Come a sottolineare, ancora una volta, che l’uomo sta perdendo i propri requisiti di padre creatore e scienziato saggio, per diventare genitore degenere e genio pazzoide che, inconsapevolmente trasferisce sul figlio del suo ingegno le sue ex-qualità di essere superiore e solidale. Moon parte lento e continua lento, ma se questo riesce a fare riflettere, allora ben venga. Lo spettatore ha bisogno, specialmente oggi, di fermarsi a pensare. In solitudine e in silenzio.

Curiosità
La NASA sta effettivamente lavorando a un progetto sull’Elio-3, per questo Moon è stato proiettato e sottoposto all’approvazione dell’ente aeronautico e spaziale di Houston.

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