hideout

cultura dell'immagine e della parola

Intervista a
Ken Loach

Ancora una volta un film intriso di problemi sociali inglesi per Ken Loach, ma questa volta con un retrogusto di commedia: Il mio amico Eric. Ecco come ne parla il regista.

Come le è venuta l’idea di fare questo film?

È stato circa due o tre anni fa. Senza Cantona non ci sarebbe nessun film. Un produttore francese molto simpatico, Pascal Caucheteux, ha parlato con Rebecca O’Brien, la produttrice e ci ha proposto un incontro con Cantona. Ovviamente noi conoscevamo bene il personaggio pubblico, il calciatore straordinario. E loro sapevano che io e Paul Laverty, lo sceneggiatore eravamo tifosi di calcio. Così ci siamo incontrati. Eric aveva alcune idee molto interessanti, in particolare la storia del suo rapporto con un tifoso. Paul ed io non siamo riusciti a tirarne fuori qualcosa che funzionasse in termini di personaggi e sviluppo della storia, ma ci era sembrato un tema interessante da esplorare: non solo la parte spettacolare del calcio e il ruolo che il calcio ha nella vita delle persone, ma anche gli aspetti legati alla celebrità, al modo in cui stampa e televisione costruiscono personaggi che agli occhi della gente assumono qualità soprannaturali. Paul è ripartito da zero e ha scritto una storia che riunisse in sé tutti questi elementi. Non eravamo affatto preoccupati di farla leggere a Cantona, perché ci eravamo già incontrati diverse volte, e avevamo capito che tipo era: uno che non si prendeva troppo sul serio, e che ci aveva dato l’impressione di essersi subito innamorato del progetto. È stato divertente, per nulla stressante. Speravamo solo che l’idea gli piacesse e che accettasse di fare il film.

Perché Cantona?

È originale, brillante e acuto. È un uomo che ha le sue idee. Le sue schermaglie con i giornalisti sono sempre state intelligenti e spiritose. Le sue riflessioni sul calcio e sulla sua carriera – soprattutto quelle emerse nelle conversazioni con Paul − sono diventate parte integrante del film. Quando Cantona entra in una stanza, la sua presenza si impone. Ha un carisma, un magnetismo unici. Per un attore parliamo di “proiezione naturale”, quando dal palcoscenico riesce a comunicare qualcosa a tutto il pubblico, anche a quello dell’ultima fila, dando l’impressione di non fare nulla. Eric lo faceva in campo − comunicava con 70mila persone. È una straordinaria dote naturale. A Manchester è stato trattato con grande rispetto e affetto. Abbiamo dovuto tenerlo un po’ al riparo dai curiosi – per la prima volta ho avuto i paparazzi sul set. E se passeggiavi con lui per la strada, il traffico rallentava e la gente voleva stringergli la mano. Sono stato a vedere una partita con lui all’Old Trafford. Senza sapere che lui era lì, la gente intonava i cori di Cantona – cantavano ancora il suo nome, dieci anni dopo la sua partenza. Poi, quando hanno scoperto che lui c’era davvero, è successo il finimondo. Ho visto piangere uomini grandi e grossi! Mentre andavamo via, anche i più anziani venivano a stringergli la mano. Pochi giocatori hanno suscitato tanto affetto.

Perché il calcio?

Io lo conosco solo da spettatore, ma andare a una partita è un gran modo per socializzare. Incontri tanta altra gente che ha qualcosa in comune con te: l’amore per una squadra. Non c’entra il lavoro, non c’entra tutto il resto. C’è solo la partita da vivere insieme a tante altre persone. La partita è anche una palestra di emozioni. Le vivi tutte: speranza, gioia, tristezza, dolore, angoscia, attesa. L’estasi delirante quando arriva il gol. Provi tutte queste emozioni, ma all’interno di un contesto “sicuro”. Ti appassioni e soffri ma in fondo sai che è solo un gioco, e che la vita vera è un’altra cosa. È uno straordinario esercizio terapeutico.

Chi è Eric Bishop, il personaggio principale del film?

È un uomo intelligente che soffre di attacchi di panico. Attacchi che gli hanno impedito di avere un rapporto stabile e duraturo con una donna. Ma la sua politica è sempre stata quella dello struzzo: uscire con gli amici, andare alle partite, bere qualcosa e fare finta di niente. Il risultato è stato il fallimento del suo primo matrimonio. Poi ha sposato una donna che si è messa a bere e un bel giorno se n’è andata lasciandogli i due figli avuti da due precedenti relazioni. E siccome Eric in realtà è una persona molto generosa, li ha tirati su come fossero suoi. Finché sono stati piccoli è andato tutto bene, ma diventati adolescenti hanno cominciato a fare quello che fanno tutti gli adolescenti: quando intravedono una debolezza, la sfruttano. E così, lo stanno distruggendo. Eric Bishop resta con una grande casa che non riesce più a gestire, e naturalmente caos porta caos. A malapena riesce a conservare il lavoro, e quando lo vediamo per la prima volta è nel bel mezzo di un attacco di panico.

Come ha scelto gli attori?

Dopo la sceneggiatura, il casting è il momento più importante. Ho lavorato di nuovo con Kathleen Crawford, e abbiamo visto attori conosciuti e sconosciuti, di ogni tipo. È sempre importante che il film sia radicato in un luogo preciso, così abbiamo circoscritto la scelta ad attori di Manchester e dintorni. L’Eric del film è un tifoso del Manchester United in un periodo in cui la maggior parte dei tifosi del Manchester erano di Manchester. Quindi ci sembrava importante che fosse di lì. Steve Evets ci è sembrato subito convincente nei panni di un uomo in crisi. È anche divertente, ma non come può esserlo un comico che recita una parte: è autentico. Noi cerchiamo sempre attori in grado di essere autentici, e al tempo stesso coerenti con le caratteristiche del personaggio. Perché puoi trovare un attore veramente perfetto – giusta classe sociale, tutto giusto – ma quando poi lo vedi in azione non somiglia affatto al personaggio. Devi trovare qualcuno con tutte le caratteristiche giuste, certo, ma che somigli al personaggio che vuoi vedere sullo schermo.

Com’è stata l’entrata in scena di Cantona, durante le riprese?

Che momento! È stato piuttosto complicato. La sorpresa è una delle cose più difficili da rendere in modo efficace sullo schermo, così abbiamo preferito non dire niente a Steve Evets. Sapeva che Cantona era coinvolto come produttore, ma non che sarebbe stato fra gli interpreti. Il giorno che Cantona doveva entrare in scena, abbiamo accompagnato Steve nella camera in cui dovevamo girare. Poi gli ho detto: “Non c’è la luce giusta. Dobbiamo cercare di eliminare i riflessi. Torna tra dieci minuti.” Mentre Steve è uscito a fumarsi una sigaretta, Cantona si è nascosto dietro a un drappo nero che avevamo messo intorno alla macchina da presa. Dopodiché abbiamo girato la scena. Steve era rivolto verso il poster a grandezza naturale del calciatore, e Cantona è sbucato da dietro il drappo, si è messo dietro di lui e ha parlato. Purtroppo, avevamo alcuni assistenti operatori belgi, e quando Steve ha sentito la voce ha pensato che fosse stato uno di loro a parlare. Quindi è rimasto lì, senza sapere cosa fare. Il primo ciak non ha funzionato granché. Ma c’era rimasta abbastanza sorpresa per il secondo ciak!

E’ stato difficile passare dalle scene comiche ai momenti più seri?

Puoi solo sforzarti di essere autentico. E ancora un volta si tratta di trovare interpreti che sanno essere divertenti in modo vero, naturale. Oppure veri e naturalmente commoventi. Nel momento in cui lo spettatore pensa “Ecco, questa è una scena comica” o “Ecco, questa è una scena triste” vuol dire che hai sbagliato tutto. Ecco perché uno come John Henshaw è un bravo attore. È serio e divertente senza essere diverso da quello che è. Anche Ricky Tomlinson è così. Sa essere divertente e serio restando sempre se stesso. La cosa essenziale è che non deve cambiare marcia.

Quale messaggio spera che arrivi al pubblico che andrà a vedere il film?

È un film che parla di amicizia e del prendere atto di quello che sei. È un film contro l’individualismo: siamo più forti insieme che da soli. In fondo, parla della solidarietà che nasce fra amici – tra i tifosi di una stessa squadra di calcio, ma anche tra colleghi di lavoro. Può sembrare una cosa scontata, eppure non è un’idea così popolare di questi tempi. Per lo meno da una trentina d’anni a questa parte, da quando abbiamo smesso di essere compagni di viaggio e siamo diventati tutti concorrenti in competizione gli uni con gli altri.

Cantona suona la tromba nel film. Ha un futuro come musicista?

Dopo che George Fenton lo ha sentito suonare, ho mandato un sms a Cantona che diceva: “I musicisti sono rimasti colpiti ma ti consigliano di aspettare a lasciare il calcio.” E lui mi ha risposto con un altro sms: “Forse hanno paura che gli rubi il lavoro.”

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»