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cultura dell'immagine e della parola

Torino Film Festival
Diario, 15 novembre

Una scena di Le roi de l'evasionLa terza giornata di TFF conferma che ormai la rassegna è entrata nel vivo. Il pubblico non è quello del sabato, ma si ha la sensazione che la macchina diretta da Amelio si sia finalmente posizionata sulla carreggiata. Fin dalla prima mattina, e più di ieri, giornalisti ed addetti ai lavori hanno vivacizzato le strade e le piazze, complice la breve comparsa di un tiepido sole sotto la Mole.

Anche il concorso Torino27, comincia a sfornare film appetibili. Le roi de l’evasion del francese Guiraudie, ad esempio, è stato insindacabilmente una sorpresa sconvolgente. Già presentato alla Quinzaine dello scorso Cannes, il film è un viaggio nello spaccato di un paesino della Francia rurale, dove l’obeso e gay Armand (Ludovic Berthillot), venditore di trattori, vive la sua crisi di mezza età. Armand in particolare è affascinato dall’idea del “matrimonio” e attirato dalla serena e normale quotidianità delle famiglie etero. Sarà proprio l’incontro con la sedicenne Curly (Hafsia Herzi, già attrice rivelazione con Cous cous) a scombussolargli l’esistenza: la ragazzina si innamorerà di lui alimentando sempre più le sue illusioni. E alla fine sarà costretto per quasi metà del film a una fuga d’amore tanto surreale quanto divertente. Le roi de l’evasion conquista il pubblico con una dose dissacrante e deliziosamente grottesca di humor e doppi sensi, nonchè con un susseguirsi di immagini “eretiche” (fra tutte le scene di sesso compulsive fra il quarantenne Armand e la giovane Curly). Le risate sfociano anche soltanto gustandosi la “fisicità” delle immagini, debordanti e strabordanti, come lo sono il corpo e i movimenti del protagonista che in sovvrapeso corre quasi nudo per i boschi francesi, inseguito da Commissari di polizia e padri furiosi con tanto di carabine a tracolla. Poi ancora: afrodisiaci magici, braccialetti elettronici antimaniaci e una infine scena finale da applausi. Edonismo a parte, il messaggio è fin troppo chiaro: anche il re delle evasioni può riuscire ad evadere da ogni cosa, ma non dalla sua stessa natura.

Per la sezione onde invece molti aspettavano con ansia l’ultimo lavoro di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, initolato Diario 1989: Dancing in the Dark, che ha visto la collaborazione anche di Fuori Orario nella produzione. Come da titolo, l’intero documentario è ripreso da immagini di repertorio durante le feste dell’Unità nei paesi più “rossi” dell’Emilia Romagna, a pochi mesi dalla caduta del Muro di Berlino e a soli tre anni dalla fine dalla svolta della Bolognina. Nei sessanta minuti di camera su anziani che si dilettano in liscio e polke e su ballerine brasiliane con i loro samba e spettacoli “popolari” (con tanto di porchette sullo sfondo), Lucchi e Gianikian offrono uno spaccato significativo sulla realtà che animava il popolo del PCI. La sensazione trasmessa dai vecchi comunisti che “ballano nell’oscurità” è quella di una sottocultura vuota e provincialissima, e già inquieta la presenza anche nelle feste del PCI delle prime ballerine scosciate a mò di Drive In berlusconiano. Insomma, l’inizio di una catastrofe probabilmente ha delle radici più profonde di quanto si poteva immaginare, sembrano suggerirci i registi. Peccato che tutto venga concluso in maniera alquanto retorica e troppo sbrigativa dagli stessi autori, offrendo in chiusura di filmato tre domande banali mentre le mondine cantano Bella Ciao. E c’è chi a fine proiezione si è alzato è ha gridato al “ciarpame”.

Per Italiani.Doc invece si è acclamato Giallo a Milano, diretto da Sergio Basso e prodotto dalla Rai. Sulla scia delle polemiche dei di Via Sarpi, Basso riesce a esplorare minuziosamente il fenomeno “cinese”, utilizzando in maniera compiaciuta ed ironica il gioco di parole di cui sopra: allo spettatore sono infatti offerti “15 ingredienti” necessari per un “buon giallo”. Ma la narrazione alla fine non svelerà nessun colpevole ma semmai piccole storie con i suoi personaggi innocenti e speranzosi, che mostreranno un volto nuovo dei cinesi, demolendo passo per passo tutti i luoghi comuni e le leggende metropolitane di ogni sorta su di loro. Grazie a uno stile registico coinvolgente e quasi fumettoso (tanto che si passa facilmente anche a vere e proprie scene d’animazione), il documentario di Basso colpisce per il disincanto con cui riesce ad esteriorizzare la personalità degli appartenenti di una comunità, quella cinese, che nella mente di tutti è erroneamente pensata come corpus unicum, e non invece come insieme di singolarità pensanti e sognanti. Con un dialogo finale davvero struggente.

La giornata si conclude infine con la presentazione di un altro film in concorso, Torso, alla presenza della bravissima attrice protagonista Sora Aoi. Il regista, Yutaca Yamazaki, (già direttore della fotografia dell’indimenticabile Hirokazu Kore-ed) invece non è presente e manda un video-messaggio d’introduzione nel quale racconta come tutta la vicenda sia nata 35 anni fa, osservando un torso di uomo in un Sexy-Shop di Copenaghen. La storia è un lancinante viaggio nella solitudine di una donna, Hiroko, delusa dal genere maschile (padre e ex fidanzati) e diffidente dall’allegria sbarazzina delle sue colleghe di lavoro di fronte alle conquiste amorose. Alla prese con una sorella vittima anch’essa delle violenze e dei soprusi del “sesso forte”, Hiroko passa gli unici momenti di spensieratezza in compagnia di un torso di uomo gonfiabile, senza arti, che quindi non può ferirla né abbandonarla. Questo “feticcio maschio” diventerà ossessivamente l’unico riferimento sentimentale e sessuale della protagonista verso il mondo degli uomini. Un film fragilissimo ed amaro di un’emancipazione ancora mancata che rende omaggio all’estremo sacrificio femminile. Cullando una morbosità che sfiora la dolcezza.

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