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cultura dell'immagine e della parola

Pubblivori
2009

Non si riesce a trovare un parcheggio neanche a pagarlo oro. Giriamo senza meta per più di mezzora alla ricerca di uno spazio, un buco, dove infilare la macchina. La polizia rimane in agguato, pronta a multare con sadica gratificazione ogni singolo trasgressore. Si poteva venire con i mezzi pubblici, è vero, ma purtroppo la zona Bicocca non è ancora dotata di quel fantastico aggeggino che si chiama metropolitana e, a meno di non voler tentare la sorte con i treni (oggi in sciopero, tra l’altro) bisogna rassegnarsi all’automobile.

L’atmosfera fuori dal Teatro degli Arcimboldi è concitata. Naturalmente siamo in ritardo e per gli accrediti pare esserci qualche problema, ma alla fine tutto sembra tornare e riusciamo a sistemarci nelle prime file in platea.

Dunque, ritorno ai Pubblivori dopo un anno di assenza. L’edizione precedente alla quale avevo assistito si era svolta, disordinata, agli East End Studios: un grande capannone gremito di affamati di pubblicità. Quest’anno tutto sembra più formale e strutturato. Sponsor all’entrata con tanto di modella dalle gambe lunghe e fiumi di champagne.

La rassegna si apre con il botto, con alcuni dei migliori spot del 2008 (i più belli, a dir la verità, già visti a Cannes). E così, tra una risata e l’altra, si è inserito qualche intermezzo storico di spot anni ’80 e ’90, un giusto richiamo alla storia della pubblicità.
Ed è così che è arrivato il pezzo forte di tutta la serata: la trasmissione dello spot Budweiser degli anno ’80, ripreso l’anno scorso per la campagna pubblicitaria di Obama. Non si può spiegare l’impatto emotivo del parallelo, dovete proprio vederlo per capire:

Campagna Wassup: Budweiser e Obama a confronto

Ma, dopo il picco emozionale, e dopo qualche altro bicchiere di champagne, la rassegna ha presentato una sezione inedita, quanto mai promettente: la parte dedicata all’eco-advertising, ovvero tutti quegli spot dedicati all’ambiente e promossi, principalmente da Legambiente e Greenpeace. Pubblicità spesso fuori dagli schemi, è vero, più coraggiose talvolta, ma spesso troppo esagerate e inserite indubbiamente in una sessione troppo lunga. E poi nessun riferimento alla Campagna Tck Tck Tck, promossa da Kofi Annan e Bob Geldof, sul cambiamento climatico e la sensibilizzazione dei grandi della terra in vista del summit di Copenhagen. Una buona idea sviluppata a metà, forse, che ha avuto il peggior effetto di far desistere molti e di farli uscire da una sala sempre meno gremita. Unica campagna degna di nota: Make poverty history, con Brad Pitt e molti altri vip che schioccano le dita ogni tre secondi, lasso di tempo in cui muore un bambino nel mondo.

Sebbene le potenzialità e le buone intenzioni, credo che la rassegna non abbia ancora raggiunto una sua caratterizzazione definitiva. Se si vuole che rimanga un’iniziativa per il pubblico, allora forse bisognerebbe accorciare le sessioni e dividerle per categorie, intervallandole con momenti comici e divertenti. Se, invece, si vuole trasformarla in una serata creativa per creativi, allora bisogna farla diventare più simile alle rassegne di Cannes. Manca spesso un filo conduttore, una spiegazione, banalmente, un programma da seguire. Tuttavia, se si vuole continuare a rimestare il minestrone, si può lasciare tranquillamente tutto così.

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