L’arte della guerra secondo John Woo
La notizia già la sapete: John Woo è tornato a girare un film a Hong Kong, cosa che non faceva dai primi anni Novanta. Trattasi di un film di guerra, ispirato a un romanzo del XIII secolo che, con i dovuti distinguo, potremmo considerare grossomodo l’equivalente della nostra Iliade. Insomma, il testo epico per eccellenza. La trama si snoda a partire da premesse piuttosto semplici: nel 208 d.C. un imperatore senza carattere, soggiogato da un primo ministro crudele, accetta di condurre una campagna contro due reami all’apparenza deboli per assicurarsi il controllo dell’intera Cina. I governanti dei due regni, costretti dalle contingenze, accetteranno di allearsi per mantenere la propria indipendenza. A sovrintendere le manovre sarà Zhuge Liang, abile diplomatico e brillante stratega, che condurrà le armate unite fino allo scontro finale.
Mischiando influenze stilistiche orientali e occidentali, Woo ottiene un risultato eccellente, riuscendo a costruire un film tanto spettacolare dal punto di vista visivo, quanto compatto e intelligente a livello di sceneggiatura. Il tutto, attraverso un gioco di rimandi intrigante che rende La battaglia dei tre regni una sorta di “pietra miliare” di quello che è lo stato dell’arte cinematografica in rapporto al genere bellico. Nel corso delle sue due ore abbondanti (frutto di un montaggio serrato che ha ridotto le quasi cinque ore della versione originale senza apparentemente intaccarne il ritmo) la pellicola di Woo cita con eleganza gran parte della cinematografia di guerra a noi nota. Vediamo all’opera testuggini degne di un peplum romano e sbarchi che odorano di D-Day, accenni di guerra batteriologica, trincee da Prima Guerra mondiale e – ovviamente – combattimenti all’arma bianca tra samurai. Il tutto intessuto con una potenza e una pulizia stilistica che sanno quasi di beffa per chi su questo campo è scivolato in precedenza, Wolfgang Petersen in primis, ridicolizzato con una inquadratura – quella delle navi dell’armata di Cao Cao – che riprende lo scellerato Troy quasi a voler dire: “Hey, si fa così”.
Sia chiaro: il fatto che questo sia cinema di guerra di altissimo livello non significa che qui la guerra venga esaltata. Assolutamente. Il disgusto per il massacro è evidentissimo. Alla forza bruta si preferiscono la diplomazia e soprattutto la strategia, che consente di condurre il conflitto nel modo più “pulito” ed efficace, senza colpi bassi e rapidamente. Il tutto in ossequio ai dettami di Sun Tzu, autore appunto del celebre saggio “L’arte della guerra”, citato esplicitamente nel corso del film. Come insegnava il generale tra il IV e il V secolo a.C, il miglior condottiero è chi sa farsi amici glie elementi – siano essi il fuoco, la pioggia o la montagna. Una massima che forse al momento vi dice poco, ma che al termine della proiezione vi avrà fatto capire perché a Mario Giuliacci sia stato conferito il grado di colonnello.
A cura di Marco Valsecchi
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